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Dazi e fast fashion: come cambierà la situazione con le strette imposte da Trump

Le nuove misure doganali potrebbero rivoluzionare il modello ultra-economico della moda online

Dazi e fast fashion: come cambierà la situazione con le strette imposte da Trump

L’era della moda “usa e getta”, fatta di top a 4,99 dollari e spedizioni lampo dalla Cina, potrebbe presto finire. L’amministrazione Trump ha annunciato un giro di vite su uno dei meccanismi che ha permesso a piattaforme come Shein e Temu di conquistare milioni di clienti americani: la de minimis exemption, una scappatoia doganale che consentiva di importare milioni di pacchi ogni giorno negli Stati Uniti senza pagare dazi.

Secondo l’attuale normativa statunitense, ogni pacco dal valore inferiore a 800 dollari può entrare nel Paese senza dover pagare imposte doganali né essere sottoposto a controlli approfonditi. Un’occasione d’oro per i colossi cinesi del fast fashion, che hanno costruito un’intera catena logistica basata su spedizioni frammentate e continue, inviate direttamente dai magazzini in Asia al consumatore finale. Grazie a questo sistema, il costo finale per l’acquirente resta bassissimo, mentre l’azienda evita le tariffe doganali, salta i rivenditori e massimizza i profitti. Ma ora qualcosa è cambiato.

Donald Trump, intenzionato a rilanciare la produzione nazionale e a difendere le industrie statunitensi dalla concorrenza sleale, ha messo nel mirino proprio questa esenzione. Le nuove misure, che limitano drasticamente o eliminano del tutto l’uso del de minimis per le importazioni dalla Cina, avranno effetti immediati:

  • Aumento dei prezzi: senza l’esenzione, i capi low-cost subiranno una crescita di prezzo legata ai dazi doganali.
  • Tempi di consegna più lunghi: i controlli doganali freneranno il modello “just-in-time” che ha reso Shein leader mondiale.
  • Pressione logistica: le aziende dovranno ripensare la distribuzione per continuare a operare a margini sostenibili.

Si tratta di un vero punto di svolta per il fast fashion. Alcune aziende stanno già correndo ai ripari, valutando la rilocalizzazione parziale della produzione e l’apertura di hub logistici in Messico o in Paesi che fanno parte del trattato commerciale nordamericano (USMCA), per evitare dazi mantenendo una certa rapidità nei tempi di consegna.
La stretta doganale non riguarda solo i flussi economici, ma ha anche implicazioni ambientali e sociali. Il modello fast fashion è da tempo sotto accusa per l’impatto climatico, il consumo di risorse e le condizioni di lavoro nei Paesi produttori.
Il rallentamento delle importazioni ultra-low-cost potrebbe spingere più consumatori a ripensare il proprio rapporto con la moda, orientandosi verso acquisti più sostenibili, durevoli e consapevoli.

Se da un lato l’obiettivo è proteggere l’economia interna, dall’altro la mossa di Trump è vista da alcuni analisti come un nuovo capitolo nella guerra commerciale USA-Cina. Non è un caso che il focus sia puntato su due dei più forti esempi del successo tecnologico e industriale cinese in Occidente. Nel frattempo, Shein e Temu si trovano davanti a una sfida complessa: reinventare un modello vincente in un ambiente normativo che sta rapidamente cambiando.

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