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IL REPORTAGE
30 Marzo 2024 - 05:00
Un rottame di lusso, incorniciato dal simbolo del Tridente. Quello che in tutto il mondo si traduce con Maserati. Oggi, solo un baraccone “quattroporte” firmato con un pennarello bianco dagli operai e dagli ingegneri che lo hanno partorito. Gli ultimi agli enti centrali e i primi, poi, a produrlo, manualmente, dentro la fabbrica al confine tra Torino e Grugliasco. Questo è il simbolo della disfatta dell’automotive marchiata Stellantis nel Torinese. Specie negli ultimi due anni. Una cancrena che si estende anche all’indotto e ai suoi 70mila lavoratori.
Qui, a Grugliasco, il male passa di strada in strada. Di fabbrica in fabbrica. E, di conseguenza, di casa in casa. A partire dalla Lear e dalla Proma, fornitori diretti che, nonostante le vertenze aperte, stanno ancora qui accanto senza interrompere la produzione. Intanto, l’automobile della vergogna resta esposta a marcire in quello che poteva essere il “Polo del Lusso” dell’ormai fu Fiat. Poi Fca. E, dopo aver spostato il proprio baricentro a Parigi, Stellantis.
Viaggio nel nulla
Attorno allo stabilimento «in via di sgombero» ma ancora non venduto, nonostante l’annuncio su un noto portale di compravendita per case e immobili commerciali, c’è un silenzio inquietante. Gracchiano solo le cornacchie che beccano l’immondizia. Rumoreggiano loro, al posto degli operai e delle maestranze che animavano la “Stalingradro d’Italia” celebrata dalle cronache economiche del secolo scorso.
Oltre 1.400 lavoratrici e lavoratori, impiegati al massimo della produzione a partire dai poco meno di 500 destinati da Sergio Marchionne all’acquisizione di quella che, tra il 1959 e il 2009, fu per tutti la Bertone. La “boita del Nuccio”, al quale oggi non resta che un viale intitolato all’angolo di un sedime simile dedicato a Maserati. Paradossi della toponomastica.
Da Agnelli all’oblio
A condannare all’oblio quello che, per almeno tre anni è stato alla gloria del mondo noto, forse, come “Gianni Agnelli Plant”, si può dire sia stato il successore di Marchionne nel 2022. Il nuovo amministratore delegato di Stellantis, al secolo, Carlos Tavares. Lo stabilimento intitolato all’Avvocato, infatti, non esiste più da allora. E, ancora oggi, attende un compratore. I lavoratori, qui e ora, non ci sono più. «A parte quelli che devono portare via tutto» ci confermano dalla guardiania fuori da quel viale che, ancora oggi, resta intitolato al “capitano d’impresa” che ebbe la visione dell’automobile oltre sessant’anni fa. Cinquant’anni prima, però, che il suo sogno lo rilevasse Fca. Affinché Stellantis, poco dopo e nonostante le promesse, lo mettesse in svendita su Immobiliare.it.
«Il prezzo è su richiesta» ci i dice chi risponde all’annuncio per un “Capannone da 31mila metri quadri” nel cuore dei campi tenuti a gerbido. L’ultimo cancello dello stabilimento si apre soltanto per fare uscire quelli che, a ben guardare le cataste nei capannoni, sembra soltanto un ammasso di rottami. Vecchie scocche di macchine per ricchi. Quelle che, agli operai a cui era imposta la metalmeccanica di base, sembravano inarrivabili. «Le costruivano e non se le sarebbero mai potute permettere, ma hanno lavorato con passione fino all’ultimo» conferma il segretario della Fiom, Edi Lazzi. Specie quel Quattroporte del Tridente, che hanno voluto firmare tutti insieme e, oggi, abbaglia di dolore rispetto alla croma di ruggine che avanza sul lussuoso rottame.
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