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ESCLUSIVO - LA VIDEO INTERVISTA

Investito dal treno, il superstite racconta: «Vi racconto come ci mandano a morire sui binari»

La testimonianza di Gennaro Marcello: «Costretti a buttarci nei cespugli per non farci vedere dai macchinisti»

«Anche io ho visto la morte in faccia come quei 5 poveri ragazzi. Solo per un miracolo oggi sono qui a raccontarlo e a dirvi che c’è un motivo unico se ancora oggi i lavoratori vengono mandati a rischiare la vita sui binari: i soldi».

Gennaro Marcello, 45 anni, è un manutentore ferroviario. Anzi, per meglio dire, lo era. Perché poco più di un anno fa, a Salussola, è stato vittima di un incidente che presenta molte analogie con quello costato la vita a 5 suoi colleghi a Brandizzo. Un incidente di cui porta ancora oggi i segni, indelebili. «Era l’8 maggio 2022 - ricorda -, una domenica, perché questi lavori te li fanno fare nei festivi o di notte, quando il traffico è minore e si perdono meno soldi. Io ero al lavoro su un binario con due colleghi: il caposquadra ci aveva dato il via libera. Io, in particolare, ero su un escavatore perché dovevo scavare sotto le rotaie. Quando ho sentito un rumore, mi sono girato e ho visto il treno». È stato un attimo. «Ho avuto solo il tempo di pensare: “Sono morto”, poi mi ha colpito».

L'escavatore su cui si trovava Gennaro Marcello, colpito dal treno

Per fortuna il convoglio era partito da poco dalla stazione e andava a velocità relativamente bassa: Marcello è stato proiettato fuori dall’abitacolo e si è miracolosamente salvato. «Ho fatto sei mesi di ospedale però - racconta - per il trauma cranico e per lo shock post traumatico». Oltre il danno, la beffa. «Non ho avuto alcun risarcimento e l’azienda per cui lavoravo mi ha addebitato la colpa e mi ha licenziato. Ora ho una pensione di invalidità e una doppia causa in corso in tribunale». I segni sul corpo nel frattempo sono spariti, ma quelli nella mente no. «Ancora oggi sento il rumore del treno, me lo sogno di notte. Quando ne parlo ho la pelle d’oca e faccio fatica anche solo a salirci da passeggero. Ho anche provato a tornare al lavoro, ma non ce l’ho fatta. E adesso non tornerei mai a lavorare sui binari».

Gennaro Marcello quando era ricoverato in ospedale dopo l'incidente

Gennaro Marcello però non è “solo” la vittima di un incidente. È anche il testimone di un modo di lavorare che sembra essere lo stesso che sta portando alla luce la procura di Ivrea indagando su quanto accaduto a Brandizzo: «Io quel giorno avevo ricevuto solo un “via libera” orale, non scritto - ricorda - ed è una prassi abituale. Bisogna fare in fretta, cominciare prima possibile perché prima cominci, prima finisci e il tempo è denaro. È un sistema consolidato: Rfi fa pressione sulle imprese, le imprese fanno pressione sui caposquadra e loro la fanno a noi». Marcello parla di irregolarità ancora più clamorose: «È capitato più volte che fossimo lasciati soli su binari, senza la “scorta” di Rfi. A quel punto ti affidi alle vedette, come gli indiani: guardano da un lato e dall’altro e quando vedono arrivare un treno ti avvisano. Gli operai però non scappano per non farsi colpire, scappano per non farsi vedere: se i macchinisti, che non sanno che gli operai sono al lavoro, vedono qualcuno sui binari, lo segnalano e diventa un problema. Mi è capitato diverse volte e sapete cosa abbiamo fatto? Ci siamo buttati tra i cespugli a fianco della massicciata, per non farci vedere». Ma perché gli operai accettano un simile rischio? Perché non rifiutano di lavorare in quelle condizioni? «Semplice - conclude Marcello - se non lo fai, sei fuori. Quasi tutti lavorano con contratti a termine e se non ti adegui, non te li rinnovano».

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