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IL COLLOQUIO
22 Agosto 2024 - 09:00
Vicino alla scrivania di Marco Viglino c’è un tavolo dove sono poggiati almeno 50 fascicoli. A destra, un tavolo basso molto lungo occupa una parete: altre cartelline gonfie di fogli. Le copertine di cartone colorato sono impossibili da contare, troppe. In ogni dossier c’è una storia: quella di una persona che in questo momento è sotto procedimento penale. Siamo infatti dentro il Tribunale di Sorveglianza di Torino, dove hanno sede i magistrati di sorveglianza.
Dovrebbero essere 7, più Viglino - che in questo momento è presidente del Tribunale, ma non nominato. E’ stato proposto per coprire il ruolo del presidente precedente quando 8 mesi fa è andato via - e invece sono 4, oltre Viglino che lavora anche come magistrato. A cura di questo Tribunale ci sono tutte le carceri delle città di Torino, Cuneo, Alessandria, Novara, Vercelli e Aosta: 13 istituti penitenziari. Nelle mani di 5 persone. Mani legate, non dalle manette, ma da una situazione sempre più insostenibile. In questi anni hanno aumentato le funzioni del Tribunale. Parallelamente, i magistrati sono diminuiti. «Sotto organico al 50%».
Manca anche il personale amministrativo, figure necessarie quanto i magistrati per l’attuazione di misure cautelari e alternative, come gli arresti domiciliari o le messe alla prova. Chiediamo dei numeri e sono spaventosi. A ogni data di udienza si trattano dai 96 ai 103 casi. In un giorno si decide il destino di un centinaio di individui. «Per sentenziare il futuro di ognuna di queste persone il magistrato competente deve sapere vita, morte e miracoli. Situazione chiara dal passato al presente: che reato è stato commesso, effetti, risarcimenti e soprattutto le prospettive future per capire se un’eventuale misura alternativa possa essere applicata». Le conseguenze di un errore possono divenire fatali. Il dato allarmante è quello statistico. Dai rapporti che ci sono stati mostrati, ogni magistrato segue una media di 5500 persone l’anno. E ovviamente, alcune di loro presentano, tramite avvocato, più di un’istanza. Per affrontare il tema del sovraffollamento carcerario, mai popolare come in questo periodo, bisogna partire da queste stanze silenziose. Viglino è consapevole delle dinamiche quotidiane del carcere. «A Torino una delle possibilità potrebbe essere quella di costruire edifici dove dividere i detenuti in base ai reati commessi». I detenuti accusano i magistrati di essere assenti dalle stanze dei colloqui nei penitenziari. «E hanno ragione» commenta il presidente. «Nel giugno 2023 un collega è andato in pensione. Non è stato sostituito. A malapena riusciamo a stare dietro ai casi di urgenza. Non che le necessità di chi è ristretto non lo siano. Sulle custodie cautelari ci sarebbe da discutere. Li portano dentro 3 giorni, poi li scarcerano. Quando entra qualcuno si attivano settori come quello medico, ad esempio. Poi dopo 72 ore la persona esce. Che senso aveva metterlo dentro?». Tempo e risorse che vengono portati via ai condannati definitivi che spesso si trovano in mezzo a disagi e problemi. Con il nuovo decreto sono previste assunzioni per gli agenti di polizia penitenziaria. «Ma non di magistrati di sorveglianza». Eppure a Torino si coprono due regioni. Al Sud, ogni regione ha un suo Tribunale. E dire che in Piemonte abbiamo diversi casi di condannati per reati di mafia: pene ostative, come i 41bis. «Li ‘importiamo’ per paura che possano comunicare con i loro affiliati. Come se da qui anche volendo non riuscissero a trovare i modi per farlo».
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