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25 Febbraio 2025 - 07:41
«È un videogioco, per lavorare bisogna giocare. Sempre, altrimenti si resta indietro e non si lavora più».
A dire questa frase è Mohamed, rider pakistano per Glovo. Ma potrebbe chiamarsi anche Luca o Mamadou, visto che le storie di questi "schiavi moderni" sono simili: sono quasi tutti stranieri, passano le ore in bicicletta o sugli scooter per portare cibo e altri prodotti nelle case degli italiani. Personaggi principali di un sistema che li inghiotte grazie all'offerta di un lavoro sempre più necessario. Ma che offre condizioni spesso degradanti e umilianti, anche se poi bisogna distinguere i singoli casi e le diverse aziende: ora c'è Glovo nell'occhio del ciclone dopo le accuse di due lavoratrici. Ma ci sono altre sigle che offrono condizioni diverse, oltre a essere riconoscibili da altri colori. E anche i loro rider raccontano storie un po' differenti. Anche se tutti i fattorini intervistati la pensano allo stesso modo: «In questo mondo si guadagna poco, pochissimo. Con i guadagni si sopravvive e basta».
Sono tra i 3mila e i 4mila i rider attivi sulle piattaforme nella sola Torino, anche se risultano poco più di 300 quelli che effettivamente lavorano lungo le strade. Abbiamo cercato di parlare con alcuni di loro: impresa non facile, visto che sono in continuo movimento, sempre con in mano il cellulare e l'applicazione aperta per intercettare la prossima consegna. Sfrecciano in scooter, bici, monopattini, volando dal centro alla periferia e ritorno. Li si trova fuori dai ristoranti o nei parchi, in attesa. Hanno sempre poco tempo per chiacchierare, fra un viaggio e l'altro. Mohamed (nome di fantasia) è uno dei più stanchi e si ferma a chiacchierare in "piazza Rider", come una mano anonima ha scritto accanto a Palazzo Nuovo. Lì ci sono tanti locali e fast food, quindi tanti fattorini: «Non voglio più fare questo lavoro ma non mettere il mio nome vero, altrimenti Glovo mi blocca - si raccomanda il pakistano, che ha 40 anni ed è in Italia da 3 - Guadagno fra i 20 e i 35 euro al giorno, arrivando a 40 al sabato. A fine mese prendo 700-800 euro per otto ore al giorno». Quanti giorni? «Tutti i giorni: se non lavoro, Glovo non mi dà la possibilità di "prenotare" le ore: è un gioco, vai avanti solo se continui a giocare». Basta un rapido calcolo, Mohamed lavora 56 ore a settimana e ognuna delle sue ore è pagata poco più di 3 euro: «Questo lavoro non è buono: io ho tre figli qui in Italia. Per fortuna lavora anche mio moglie, altrimenti con 700 euro non ce la farei. E io ho la partita Iva, pago tutte le tasse e spesso non mi conteggiano i chilometri che faccio per andare a ritirare l'ordine. La gente non lo sa, pensa che siamo tutti assunti».
Ibrahim lavora per un'altra azienda, le sue condizioni sono migliori ma anche lui vorrebbe cambiare: «Non trovo altro» racconta, sempre con la garanzia dell'anonimato per paura di perdere il lavoro. Ha 30 anni e talmente paura da dire, come Paese di origine, un generico «Africa». Dietro di lui, sulla panchina del parco Ruffini, c'è la scritta "Rider in lotta". Ibrahim la indica e spiega: «Questo è un lavoro che non cambia la vita: metà dello stipendio va nell'affitto, poi i soldi finiscono con il cibo. Si lavora per sopravvivere: io faccio 20 ore alla settimana e prendo 750 euro. lavorando anche quando piove, fa freddo o c'è vento. Con il risultato che tanti rider finiscono in ospedale perché fanno incidenti o cadono. È pericoloso».
Alla fine l'unico a metterci la faccia è il 40enne Alì, pakistano come Mohamed. Per lui quello da rider è un secondo lavoro, di solito fa il cuoco in un ristorante in Germania. Ma, quando il locale chiude in inverno, Alì si sposta a Torino per fare le consegne e guadagnare qualche soldo extra: «Lavoro sempre, tutti i giorni: comincio alle 8, mi fermo dalle 15 alle 18 e poi riprende fino alle 23 o mezzanotte. Sono circa 12 ore per 40-50 euro al giorno». Una cifra in calo, a sentire questo rider: «Una volta, per andare dal centro al Lingotto, si prendevano 10 euro. Ora sono 4: stamattina ho fatto tre consegne e ho preso 12 euro. È poco, pochissimo».
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