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La storia

Pino, l’inventore dei “toscani caldi”: «Una targa nella via per ricordarlo»

Addio all’uomo che ha fatto dello StePi bar un simbolo del quartiere

Nasce come una bellissima storia d'amore di altri tempi, prima ancora che come un esempio di come il duro lavoro possa rendere dei felici, anche se piccoli, imprenditori.
E' la storia di Giuseppe, Pino, Trianni. Garzone dal '61, diventato un'icona e un punto di ritrovo in Barriera di Lanzo. "Abbiamo inventato i panini caldi, nel '63, eravamo i primi a fare i triangoli come in centro. Poi siamo diventati "famosi" con il piccantino, con la salsa inventata da mio papà. Adesso ogni volta che taglio un panino c'è lui". A raccontarlo è Davide, il figlio maggiore, che ha riaperto le porte dello StePi bar a pochi giorni dalla perdita di Pino, venuto a mancare a causa di un tumore.

Il bar è aperto dal '73, ma ben presto è diventato molto di più: Stefania e Pino, sposi novelli, ci hanno passato la loro vita e cresciuto i loro tre figli: Davide, Elisa e Fabrizio.

"Ci siamo visti alle giostre. Gli avevo dato un nome finto perché lavoravo sotto casa sua. Poi ci siamo fidanzati", racconta la moglie Stefania.
Una storia come a guardare con occhio attento ce ne sono tante in giro per la città. Figlio di due falegnami di Lecce, dopo avere visto Torino, in cui viveva la zia, è voluto tornarci, risalendo da solo ad appena 12 anni.

Nel tempo Pino è diventato un'istituzione: "Abbiamo tante foto e video che fa i tramezzini. In venti minuti era in grado di farne ottanta. Facevamo anche 2mila panini al giorno. Dagli anni '80 fino ai 2000 qui era un manicomio, c'era il Totocalcio. Hanno provato a imitarci i crostoni, il nostro pezzo forte, senza riuscirci. Diverse volte ci hanno proposto partnership o di rilevarlo, ma lui ha sempre rifiutato, non gli interessavano i soldi", spiega Davide. 

Ma la semplicità è stato il segreto della piccola, grande, storia di Pino. Nonostante il grande successo del bar, che spesso li faceva rimanere aperti anche ad agosto, per via dell'affluenza "non aveva grilli per la testa - racconta Stefania -. Vestiva semplice: polo e jeans, gli piaceva andare in bici. Era curioso". "Semplice come il pane, e perfezionista in quel che faceva", aggiunge Elisa, la figlia.

Aveva imparato a prendere la vita con leggerezza: "Lavorava con dedizione ma scherzava sempre. Quando venivo mi diceva: "C'è un bambino che ruba i panini"", ricorda Fabrizio. Era ed è il genere di posto in cui i clienti non devono neanche dire cosa vogliono, perché chi sta dietro il bancone lo sa già.

Poi il brutto "compagno di viaggio": la malattia, nel 2017. Ha fatto le terapie e per un po' di anni è stato tutto a posto, ma è ritornato e dal rene si è spostato al fegato", racconta Elisa. "E' rimasto sempre qui, a lavorare, quando riusciva", racconta Fabrizio

Quando è mancato, lo scorso maggio, il quartiere lo ha ricordato con un memorial durante il torneo di calcetto e una "coppa Pino". 

"Adesso ci piacerebbe ricordarlo con una targa. Ha lasciato tanto amore, oltre che tante pance piene", concludono i familiari.

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