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STARS POPE
13 Giugno 2023 - 02:22
La prima missione spaziale del Vaticano è partita, la scorsa notte, dalla base spaziale di Vandenberg in California. In diretta l’hanno seguita dall’Aula Magna “Giovanni Agnelli” del Politecnico di Torino, oltre al rettore Guido Saracco, monsignor Luca Peyron, direttore della Pastorale Universitaria della Diocesi di Torino, Sabrina Corpino, docente e coordinatrice del progetto. Sul “megaschermo” il Falcon 9 di SpaceX è decollato il satellite progettato dagli studenti del Politecnico di Torino che ha portato nello spazio lo “Spei Satelles” di Papa Francesco: il messaggio di pace e di speranza lanciato dal Pontefice il 27 marzo del 2020.
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Quando Papa Francesco, solo, sul sagrato di una piazza San Pietro insolitamente silenziosa e bagnata da una pioggia intensa, ha pregato per l’umanità e per ridare speranza a un mondo disorientato dalla pandemia. Immagini e parole di una potenza che hanno segnato il mondo. «A partire da quel giorno sono nate diverse iniziative affinché questo evento non venisse dimenticato, ma anzi mantenesse la sua forza trainante per andare non solo oltre la pandemia, ma anche per rendere più forti e ricchi di speranza in ogni momento di difficoltà, rammentando che nessuno si salva da solo» spiegano dal Vaticano, ricordando le origini del progetto. Ma c’è un retroscena più intimo per quel desiderio di portare nell’universo quel messaggio di accoglienza universale.
Il sogno del Papa di andare nello spazio
È la sera del 27 marzo 2020. Francesco è appena rientrato in camera a Santa Marta dopo aver percorso da solo piazza San Pietro e aver pregato per l’umanità, in piena lotta contro il Covid. Tra i pochi contatti consentiti, nei giorni della pandemia, c’è monsignor Lucio Adrian Ruiz, segretario del Dicastero per la Comunicazione, che gli chiede a caldo: «Cosa hai provato?». Francesco ci pensa. Gli risponderà che il suo sogno è quello di portare la Chiesa nell’universo, oltre la Terra. In estremi termini Un dialogo tra amici, al termine di una sera che il mondo ricorderà per sempre, prima di darsi la buonanotte. Anche monsignor Ruiz, dal giorno dopo, se ne ricorderà. Fino a incontrare a Torino un sacerdote, Luca Peyron, che la Diocesi ha da qualche anno incaricato della Pastorale Universitaria e ha ottimi uffici al Politecnico di Torino. Monsignor Louis, gli racconta il “segreto” di Francesco, confessandogli di voler «fare qualcosa» per renderlo reale. «Sai, io da bimbo, volevo fare l’ingegnere della Nasa» aggiunge Ruiz. «Io, a cinquant’anni, ho appena comperato un telescopio».
Nasce così “Spei Satelles” il lancio spaziale che porterà in cielo il “protettore della speranza”, come si tradurrebbe dal latino il nome della missione. Nel 2021, un anno dopo quell’evento, la Statio Orbis con le parole, le immagini e le meditazioni, anche dei giorni successivi, sono diventati una pubblicazione che nel 2022 è stata depositata presso la banca mondiale dei semi, nello Svalbard Seed Vault, come “seme di speranza”. Ieri notte è volato nello spazio in modalità del tutto inconsuete, tecnologicamente molto avanzate e culturalmente inedite per diffondere ulteriormente il suo messaggio universale dando vita a diverse iniziative connesse.
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