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Il processo
27 Dicembre 2023 - 07:00
Uno ha raccontato di essere stato insultato e preso a calci nelle gambe e sulla pancia appena operata. Un altro, oltre a prendersi pugni e schiaffi, è stato costretto a restare faccia al muro. Un altro ancora è stato preso a cinghiate sul braccio: sono solo alcuni degli esempi di aggressioni avvenute nel carcere di Torino, per cui sono state rinviate a giudizio 25 persone per i reati di tortura, lesioni personali, favoreggiamento e omessa denuncia. Oltre ad agenti e ispettori sono coinvolti anche l'ex direttore Domenico Minervini e l’ex comandante della polizia penitenziaria Giovanni Battista Alberotanza: loro due, insieme all'agente Alessandro Apostolico, hanno scelto il rito abbreviato e sono già stati giudicati. La sentenza è del 22 settembre ma solo in questi giorni sono state pubblicate le motivazioni con cui il giudice per l'udienza preliminare, Ersilia Palmieri, ha deciso di assolvere Alberotanza e condannare Minervini e Apostolico.
Nelle 130 pagine di motivazioni, la giudice ripercorre tutta l'inchiesta e il successivo processo, che dovrà continuare per tutti gli imputati che hanno scelto il rito ordinario. Le indagini avevano preso il via a dicembre 2018, dopo la denuncia della garante dei detenuti del Comune di Torino, Monica Gallo, che aveva raccolto testimonianze di educatori, psicologi, insegnanti e degli stessi detenuti (Gallo si è poi costituita parte civile insieme al garante regionale e nazionale e all'associazione Antigone).
La garante comunale dei detenuti, Monica Gallo
Intanto il pubblico ministero Francesco Saverio Pelosi e il procuratore aggiunto Enrica Gabetta hanno fatto emergere una serie di pestaggi avvenuti fra agosto 2017 e ottobre 2019: ad essere maltrattati, secondo le accuse, erano i detenuti del padiglione C. Quello riservato a chi ha commesso reati a sfondo sessuale, dove nel '18 si erano registrati 75 "infortuni accidentali" sui 166 totali del Lorusso e Cutugno. Lì, attorno al lungo corridoio ribattezzato "corso Francia", succedeva di tutto: un «girone infernale» con botte, insulti, celle usate per isolamenti abusivi e «schiaffi allegri a detenuti che, fra le lacrime, raccontano che al terzo piano del blocco C si perde la dignità», come riferito da un insegnante del carcere e riportato dalla garante. La quale aveva riportato tutto a Minervini, che non ha mai informato la Procura: per questo è finito a processo per favoreggiamento e omessa denuncia. La gup Palmieri lo ha poi assolto dal primo reato e condannato per il secondo a 300 euro di multa: «Ha sottovalutato le segnalazioni, sempre più gravi e precise, sull'utilizzo abusivo di alcune celle e su violenze e vessazioni subite da detenuti - scrive la giudice - Poi ha omesso di denunciare all'autorità giudiziaria, cambiando atteggiamento solo dopo l'avvio dell'indagine. La sua è stata una scelta consapevole e verosimilmente dettata dalla volontà di evitare un'azione dovuta ma impopolare, che avrebbe potuto alterare gli equilibri con la polizia penitenziaria». Ma, secondo il magistrato, non voleva favorire nessuno: da qui la condanna "solo" per l'omessa denuncia commessa dal direttore, assistito dagli avvocati Carola Coscia e Michela Malerba (e nel frattempo trasferito da Torino).
L'ex direttore del carcere di Torino, Domenico Minervini
Anche all'ex capo degli agenti, difeso dagli avvocati Antonio Genovese e Claudio Strata, era contestato il favoreggiamento. Ma, per la gup Plamieri, Alberotanza non lo ha commesso perché nessuno ha fornito elementi che dimostrino come si sia adoperato «per favorire qualcuno dei suoi sottoposti a eludere le attività investigative». Condanna a 9 mesi, invece, per l'agente Apostolico, assistito dall'avvocato Alberto Pantosti Bruno: a lui venivano contestate due aggressioni ad altrettanti detenuti: per una è stato assolto perché non c'è la prova che sia stato lui a picchiare. Per l'altro è stato condannato nonostante lui abbia sempre negato: «E' provato contro ogni ragionevole dubbio che ha preso a calci in pancia e sulle gambe un detenuto».
Ma il reato di tortura è stato derubricato ad abuso di autorità su detenuti, una decisione che la giudice motiva così: «Si è trattato di un solo episodio, per quanto grave, ai danni di un detenuto particolarmente problematico. Questo non giustifica il comportamento aggressivo e assolutamente arbitrario di Apostolico ma pone un ragionevole dubbio sulle sue intenzioni: non voleva ledere in maniera esorbitante la dignità della persone ma ha agito per un malinteso e distorto senso dell'autorità. Non emerge una sadica soddisfazione per la propria capacità di generare sofferenza quanto l'evidente incapacità di valutare i limiti della propria funzione». Concetti che ora potrebbero costituire un precedente anche per il processo ordinario e per gli altri 22 agenti accusati.
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