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Il Borghese
11 Marzo 2024 - 16:51
La locandina del film di Nanni Moretti
Il risultato elettorale dell’Abruzzo ha confermato le certezze del centrodestra, ma sembra aver reso ancora più flebili le speranze nel centro sinistra. E se le cose restassero così, in Piemonte si potrebbe anche non votare, perché il risultato è scontato. Chi lo ha capito, è una vecchia volpe della politica torinese, colui che ha traghettato il vecchio Pci nel mare più calmo chiamato Pds, per poi lasciare il suo posto a Sergio Chiamparino: Giorgio Ardito, l’inventore della candidatura Castellani. All’ombra dei suoi 82 anni suonati, l’ultimo segretario torinese dei comunisti, un’idea ce l’ha. «Ci vorrebbe un Papa straniero, anche se forse è tardi», ha dichiarato ieri alla cronista di questo quotidiano. Servirebbe un Karol Wojtyła della politica nostrana, capace di imporsi, rinnovare e, contemporaneamente, conservare ciò che da conservare c’è.
Non un Ds, non un pentastellato, ma qualcuno in grado di creare una sintesi. E se Wojtyła è storicamente stato l’artefice di una “Chiesa Trionfante”, altrettanto potrà fare il candidato che Ardito avrebbe in mente, il cui nome, però, non lo avrebbe ancora svelato a nessuno. Wojtyła fu eletto papa dai cardinali perché il conclave del 1978 si era bloccato sullo scontro tra due candidati alternativi, il cardinal Benelli, arcivescovo di Firenze e Giuseppe Siri, che reggeva la diocesi di Genova. I tre grandi elettori di allora, dicono unanimi le cronache, capaci di suscitare interesse e consenso attorno al papa polacco, furono l’arcivescovo di Vienna Franz König e quello di Varsavia Stefan Wyszyski, seguiti a ruota dall’allora cardinale di Torino Michele Pellegrino. Anche la politica di casa nostra (quella di area progressista) ha i suoi riti, i suoi cardinali e le sue sacerdotesse, ma c’è da chiedersi se mai avranno il coraggio (il tempo che resta è poco) di mettere in atto una sorta di rivoluzione copernicana nella politica piemontese.
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C’è da sperare che lo facciano, non per fare il tifo per una parte piuttosto che per un’altra, ma per ridare alla competizione elettorale un po’ di appel e per riscoprire quella passione necessaria perché i destini della cosa pubblica possano tornare ad essere cari agli elettori e portare alle urne il maggior numero di cittadini. Perché, anche l’Abruzzo insegna, l’astensionismo è un’ombra sinistra che lentamente cala sulla democrazia di questo Paese.
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