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il retroscena
25 Marzo 2024 - 09:47
La casa degli orrori a Salassa (nel riquadro, l'imam)
Morto legato in casa come un animale, per un fantomatico “esorcismo islamico”. Mani e piedi legati, un abito, in particolare il bottone di un vestito, a soffocarlo, la cocaina trovata in corpo. Una fine assurda quella di Khalid Lakhrouti, per la quale un mese dopo sono state arrestate tre persone (lo zio imam, l’ex moglie e il fratello) e sulla quale i carabinieri stanno indagando, coordinati dalla Procura di Ivrea. Ma perché Khalid è stato ucciso? Stando alle ricostruzioni investigative, per gli arrestati la sua morte non sarebbe stata una notizia così cattiva. Anzi. «Khalid ci ha incasinato la vita, sia da vivo che da morto», le parole dello zio imam, Abdelrhani Lakhrouti, in una telefonata con Nourddine Lakhrouti, fratello della vittima. Oppure: «La morte di Khalid è stata un bene, avrebbe potuto ammazzare qualcuno o anche se stesso». Questa, invece, una telefonata tra lo zio imam Abdelrhani col fratello Abderrahim. Dunque a dispetto delle lacrime versate una volta sopraggiunti il 118 e i carabinieri in via Cavour, a Salassa, qualcosa davvero non torna.
Va detto anzitutto che Khalid non era esattamente un uomo dal comportamento irreprensibile. Era infatti un soggetto ben noto alle forze dell’ordine, in quanto dipendente dalla cocaina. Particolare forse non di poco conto, se si pensa che stiamo pur sempre parlando del nipote di un imam. Un uomo, Abdelrhani Lakhrouti, considerato la guida spirituale dei musulmani dell’intero Canavese, imam di Cuorgné e figura di riferimento religiosa. Una personalità che nei suoi video su Facebook (postati con orgoglio in moschea e nelle funzioni di culto) ribadisce le leggi di Allah - «A lui ritorneremo», frase questa pronunciata anche dagli jihadisti prima degli attentati terroristici -, integerrimo osservatore dei concetti religiosi. Insomma, che nel Cavanese la gente parlasse di un nipote tossicodipendente di un imam, forse ad Abdelrhani non faceva così tanto piacere.
Ma non è tutto. Khalid Lakhrouti negli ultimi cinque anni avrebbe avuto comportamenti violenti tra le mura domestiche nei confronti di Sara. Che se n’è andata da via Cavour, insieme ai suoi figli, proprio per le ripetute violenze del marito, che in più circostanze l’avrebbe anche morsa. Ma per trasferirsi non troppo lontano, in via Matteotti (insieme alla madre, venuta apposta per lei, perché a una donna secondo l'islam non è permesso vivere da sola). Abitazione dove Sara Kharmiz si trova attualmente, agli arresti domiciliari, unica dei tre arrestati a non essere in carcere. Sara che, a detta degli abitanti di Salassa «è una bella donna, affascinante». Una donna che quindi potrebbe piacere a molti uomini. Magari anche al cognato Nourddine, ma in quel caso ad essere “di troppo” sarebbe stato proprio Khalid. E ancora, particolare altrettanto importante, Sara Kharmiz ha la cittadinanza italiana. Un buon motivo, quindi, per sposarla. E chi avrebbe avuto questo "buon motivo"? Forse proprio Nourddine, che dalle indagini è risultato avere il permesso di soggiorno in scadenza.
In conclusione, troppe cose non tornano, e per gli investigatori è stato chiaro fin da subito che i tre arrestati hanno fatto di tutto per depistare le indagini una volta morto il 43enne Khalid. Ad esempio, Sara ha dichiarato ai carabinieri che il 10 febbraio, la sera, era a casa con la madre. Sotto casa della donna, in effetti le telecamere non l’hanno ripresa mentre si allontanava. Tuttavia, il palazzo di via Matteotti dove ora l’ex moglie della vittima vive (ai domiciliari) ha un ingresso sul retro, dove le telecamere non ci sono. Probabile quindi che Sara Kharmiz sia uscita dal retro, per non farsi vedere. Senza dimenticare che ci sono ben quattro telefonate, quella sera, tra Sara e la madre. Un fatto strano, se la donna ha dichiarato di non essere mai uscita di casa.
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