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Il giallo
07 Maggio 2024 - 06:20
Indagini che s’intrecciano, intercettazioni, un assassino accusato di rapina dopo 15 anni grazie all’esame del Dna. E una valigetta piena di soldi, appartenuta a un boss della ‘ndrangheta e sparita nel nulla. Sembrano gli ingredienti di un giallo ben riuscito, sono tutti gli aspetti emersi in un processo svolto ieri a Palazzo di Giustizia.
Il protagonista principale è Angelo Alosi, 64enne con un curriculum criminale che risale al 1977. Da allora è stato arrestato e condannato più volte, anche per l’omicidio di un uomo trovato carbonizzato nelle campagne di Caselette (era il 1983).
Adesso è accusato di una rapina avvenuta il 1° giugno 2009 in lungo Dora Firenze, ricostruita in aula da Silvio Mele, colonnello dei carabinieri. All’epoca stava indagando sulla scomparsa di Rocco Vincenzo Ursini, affiliato alla ‘ndrangheta sparito nel nulla meno di due mesi prima.

L'auto di Ursini trovata settimane dopo la sua scomparsa
Per questo teneva sotto controllo alcuni telefoni “rilevanti”. Come quello di Renatino Macrì, parente di Ursini e mafioso di rango, e dei suoi parenti stretti: «Abbiamo ascoltato tale Giuseppe Lupo che telefonava alla sorella Teresa, moglie di Macrì - ripercorre Mele nella sua testimonianza - Le diceva che tre uomini lo avevano aspettato sotto casa, lo avevano aggredito e avevano fatto irruzione per prendere l’incasso del suo bar e una certa valigetta. Ci è sembrato strano, anche perché i rapinatori avevano una serie di informazioni sulla casa».
L’ipotesi degli investigatori è che la valigetta fosse piena di soldi e fosse proprio di Renatino Macrì. Di certo c’è che i rapinatori sono rimasti a lungo senza nome, nonostante uno di loro avesse “dimenticato” un cappellino nell’appartamento. C’erano anche delle tracce di Dna ma non saltò fuori nulla: «Il 23 dicembre 2019 avevamo arrestato Alosi mentre stava per fare un sequestro di persona a scopo di rapina - ripercorre il commissario Luca Zagato, allora alla sezione antirapina della Squadra mobile - Nel 2017, otto anni dopo, Alosi è stato scarcerato, gli hanno prelevato il Dna e nel 2022 la polizia scientifica ci ha mandato il riscontro: corrispondeva a quello trovato nel cappellino della rapina di lungo Dora Firenze».
Per questo si è arrivati al processo dopo 15 anni, la chiusura del cerchio. Ma Alosi, libero e presente ieri in aula, nega tutto: «Non è uno dei rapinatori - è convinto il suo avvocato, Stefania Rizzo - Abbiamo prodotto la documentazione medica di aprile 2009 in cui si dà atto che quel giorno Alosi ha avuto un incidente in moto».
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