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COLD CASE
28 Maggio 2024 - 10:00
Un uomo sgozzato, l’altro massacrato con 27 coltellate e una pallottola in fronte. Poi i cadaveri sono stati bruciati: un terribile duplice omicidio, che risale alla notte tra il 31 dicembre 1996 e il 1° gennaio ‘97. E per cui l’albanese Fatmir Dervishi era stato condannato prima all’ergastolo e poi a 30 anni di carcere. Ma lui non ha mai partecipato a quei processi: era latitante ed è stato arrestato soltanto nel 2019. Quando ha chiesto e ottenuto di essere giudicato di nuovo: «Non sono stato io» ha assicurato due settimane fa in tribunale. Ma non è bastato a convincere i giudici togati e popolari della Corte d'Assise d'Appello di Torino, che lo hanno condannato di nuovo a 30 anni di carcere: «Faremo ricorso in Cassazione - annuncia l'avvocato dell'imputato, Emanuele Luppi - E sarà la terza volta».
Così, a distanza di quasi 28 anni, riemerge dal passato il delitto avvenuto la notte di Capodanno nell’Alessandrino. Gli albanesi Ilir Haxia e Kastriot Tufa si spostarono da Padova per festeggiare il nuovo anno insieme a dei connazionali. E furono uccisi in quel modo atroce da altri tre uomini: il 12 giugno 1998 Dervishi, che nel frattempo si era dato alla fuga, fu condannato all’ergastolo da latitante. Pena di 30 anni per un complice, Dridanet Iberisha, e di 6 anni per un altro, Sami Casmi: «Era stato lui ad accusare Dervishi» ricorda l’avvocato Luppi, che assiste il presunto killer.
Due settimane fa i due si sono ritrovati uno di fronte all'altro in tribunale a Torino: dopo una condanna a 30 anni da latitante in appello, infatti, il 44enne albanese è stato arrestato e ha chiesto un nuovo processo. La Corte d’Appello ha rigettato il suo primo ricorso ma la Cassazione ha annullato quella sentenza e imposto una nuova causa (la terza in appello). Cioè quella iniziata il 13 maggio con il solo Casmi come testimone: «Non mi ricordo» ha risposto l’uomo a praticamente tutte le domande del procuratore Marcello Tatangelo e della giudice Alessandra Bassi. Tanto che i magistrati hanno ipotizzato che il testimone facesse uso di droga o soffrisse di amnesie: «Come può non ricordarsi di aver bruciato un cadavere, come ha confessato allora? - insiste Tatangelo - Lo trovo incredibile, dando per scontato che sia stata anche l’unica volta. Capisco che non abbia voglia di raccontare o abbia paura di qualcosa. Ma sappia che chiederò gli atti per accusarla di falsa testimonianza». Neanche la minaccia ha “sbloccato” l’albanese, che oggi ha 51 anni: «Ha detto 36 volte "non ricordo", come si può condannare una persona per omicidio sulla base di una testimonianza del genere?» ha riflettuto l'avvocato Luppi nella sua arringa finale. Che non ha convinto i giudici, così come l'ultima difesa di Dervishi in aula: «Ero a quella festa di Capodanno ma poi sono andato via - è la tesi del presunto killer - Ho conosciuto quei due la sera stessa, non avevo motivo di ucciderli».

L'avvocato Luppi, oltre ad annunciare il nuovo ricorso dopo la condanna in appello, sottolinea: «Si tratta di un omicidio senza movente, non si sa perché qualcuno possa averlo commesso. Il mio assistito non ha mai avuto problemi legali né prima né dopo: è un processo veramente incredibile». E prosegue: «Entro il 30 luglio saranno pubblicate le motivazioni e vedremo come i giudici hanno motivato la testimonianza e il resto degli atti. Ho dubbi anche sulle intercettazioni in cui si parla dell'omicidio: vengono attribuite al mio cliente e sarebbero la dimostrazione che lui era coinvolto. Ma Dervishi sostiene che non fosse lui a parlare. Avevo presentato una richiesta per una perizia fonica ma non è stata accolta».
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