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L'inchiesta

Molestie sessuali durante le autopsie: «Dottoressa, è meglio che non ti chini...»

Chiuse le indagini sul professor Giancarlo Di Vella, direttore di Medicina legale: ecco di cosa è accusato

Molestie sessuali durante le autopsie: «Dottoressa, è meglio che non ti chini...»

«E’ meglio che non ti chini». «Pensavo che mi avessi chiamato per trombare, finalmente». «Andiamo su un’isola deserta e viviamo di sesso e amore». «Se passa la polizia, facciamo finta di essere fidanzati e ci baciamo».
Sono alcune delle frasi che dieci specializzande in Medicina legale si sono sentite dire dal loro “capo”. Cioè il professor Giancarlo Di Vella, all’epoca direttore della Scuola di specializzazione dell’Università di Torino (oltre che direttore della struttura di Medicina legale della Città della Salute).

Il docente, nei mesi scorsi, era finito agli arresti domiciliari e ora ha il divieto di dimora in Piemonte. A breve dovrà probabilmente affrontare l’udienza preliminare, visto che il pubblico ministero Giulia Rizzo ha chiuso le indagini contro di lui e ora chiederà il rinvio a giudizio dopo averlo accusato di molestie e violenza sessuale (con l’aggravante di averle commesse come pubblico ufficiale in un istituto di formazione). E molte delle persone offese, tutte dottoresse in specializzazione, sono già pronte a costituirsi parte civile, assistite dagli avvocati Gian Maria Nicastro e Gian Mario Ramondini.

Stando agli atti dell’inchiesta, che comprendono 3mila pagine di atti e otto cd di intercettazioni, il professore baciava e palpeggiava le dottoresse nei corridoi e nelle aule della scuola. Anzi, per poterle toccare, le spingeva contro i mobili o contro il tavolo dove si svolgevano le autopsie. Si aggiungevano carezze, massaggi, “grattini”, baci, abbracci prolungati e battute a sfondo sessuale. In privato e in pubblico, con allusioni ai rapporti con i fidanzati e consigli per l’acquisto di biancheria intima. E ancora inviti a salire a casa sua, foto di lui in costume da bagno, telefonate serali, battute sulla sua disponibilità a rapporti sessuali e sentimentali extraconiugali (cui si dichiarava «avvezzo»). Aveva anche “avvisato” una specializzanda invitata a un convegno negli Stati Uniti, dicendole qualcosa come «sappi che dovremo dormire insieme».

Oltre che di queste accuse a sfondo sessuale, Di Vella è accusato di falso in atto pubblico perché avrebbe falsificato gli atti della Scuola di specializzazione di Medicina Legale per farla rientrare nel volumi minimi necessari ad essere accreditata dal Ministero dell’Università. In sostanza, ogni anno, figuravano 150 “attività necrosettorie” e 1.500 “accertamenti necroscopici”. Peccato che, secondo l’indagine, la scuola sia arrivata a un massimo di 49 autopsie. A questo si aggiungono anche gli atti persecutori (il cosiddetto mobbing) ai danni di sette specializzandi, sia maschi che femmine: Di Vella avrebbe minacciato di bocciarli, di denunciarli e di escluderli dalla scuola, arrivando a togliere loro le chiavi ed eliminarli dalle chat WhatsApp di lavoro. Ritorsione motivate (anche) dall’inchiesta penale, che Di Vella aveva scoperto dopo una perquisizione dei carabinieri.

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