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L'inchiesta

Scarpe&Scarpe, gli eredi del fondatore patteggiano per il crac milionario

L'inchiesta risale al 2020 e si è conclusa in questi giorni con l'accordo fra pm e imputati

Scarpe&Scarpe, gli eredi del fondatore patteggiano per il crac milionario

Foto di repertorio (credit summerphotos)

Sembrava un'azienda solida, con più di cento negozi in tutta Italia e migliaia di dipendenti. Invece è finita al centro di un'inchiesta penale per bancarotta concordataria e preferenziale, falso in bilancio e false fatturazioni. Ora Scarpe&Scarpe, colosso delle calzature e dell’abbigliamento, si è "rialzata" grazie alla società di investimenti Pillarstone, che ha rilanciato il marchio dopo che la società è finita in concordato preventivo. Ma intanto gli eredi del fondatore, Agostino, Livio e Luca Pettenuzzo, hanno dovuto versare 3 milioni di euro per chiudere ogni discorso. Così hanno anche potuto patteggiare una pena a 1 anno e 5 mesi di carcere.

Si è chiusa così l'inchiesta che ha coinvolto la storica società di calzature e i Pettenuzzo, la famiglia che l'ha fondata e che fino al 2021 deteneva la maggioranza della società e occupava il consiglio di amministrazione. Altri due imprenditori, invece, erano accusati solo di false fatturazioni e la loro posizione è stata archiviata.

L’indagine inizia nell’aprile del 2020, quando i proprietari si rivolgono al Tribunale fallimentare e chiedono l’ammissione al concordato preventivo dopo aver scoperto che il valore del magazzino iscritto a bilancio non corrispondeva a quello reale: in sostanza, c’era stata una plusvalenza in una valutazione di 24 milioni di euro. La pratica arriva sulla scrivania del procuratore aggiunto Marco Gianoglio e del sostituto Mario Bendoni, che da regolamento devono dare il loro parere. Ed è in questa fase che emerge, per esempio, una falsa fattura da 70mila euro per lo smaltimento di 700mila euro di merce.

A quel punto la Procura deposita un parere negativo per il concordato e intanto apre un’inchiesta. Un anno dopo, Scarpe&Scarpe propone un concordato "migliorativo" che garantisce risarcimenti più alti ai creditori (compreso lo Stato). Così il concordato viene omologato, le quote di maggioranza della società possono passare nelle mani del nuovo investitore e vengono salvati negozi e lavoratori.

Ma questo non significa che non siano stati commessi reati. Infatti, nel frattempo, la Guardia di finanza ha ricostruito - anche grazie alle intercettazioni telefoniche - gli artifici contabili architettati dai vertici societari per distrarre il patrimonio aziendale, parte del quale sarebbe finito nelle casse della famiglia fondatrice attraverso la distribuzione dei dividendi. Così i pm hanno contestato il falso in bilancio per gli anni 2017 e 2018 e la bancarotta per sei operazioni sospette: complessivamente, si parla di un crac di circa 12 milioni di euro. Che ora i Pettenuzzo hanno in parte risarcito con l'accordo transattivo da 3 milioni che ha chiuso ogni discorso. Anche dal punto di vista penale, con il patteggiamento entro la fine dell'udienza preliminare.

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