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L'inchiesta

Escort e agenti segreti, così gli spioni si infiltravano anche a Torino

L'indagine di Milano si allarga: nei guai il vice del capitano Ultimo - Giallo sulla banca dati del Csi

Escort e agenti segreti, così gli spioni si infiltravano anche a Torino

La sede del Csi Piemonte in corso Unione Sovietica a Torino. Nel riquadro, due dei principali indagati, Carmine Gallo e Nunzio Calamucci

Gli “spioni” di Milano sono passati da Torino per mettere le mani su migliaia di dati sensibili? È l’ipotesi degli inquirenti lombardi alla luce di quanto emerso durante l’inchiesta che coinvolge 51 persone, di cui quattro arrestate. D’altronde sono gli stessi indagati a dire che i «server fisici sono a Torino» nelle intercettazioni: l’ipotesi è che si riferiscano al Csi Piemonte, acronimo di Consorzio per il sistema informativo, che ha sede in corso Unione Sovietica 216. Cioè il più grande centro di raccolta dati in Italia, cui si appoggiano centinaia di enti. E, stando a quanto raccolto dagli investigatori, anche il Ministero dell’interno per conservare i riservatissimi dati del Centro elaborazione dati (Ced) Interforze di polizia: «Ora la Giunta Cirio riferisca sulle incursioni degli “spioni” al Csi» intervengono i consiglieri regionali del Pd Daniele Valle e Gianna Pentenero, ricordando che il Consorzio è per il 19% di proprietà della Regione Piemonte. Dal Csi, però, smentiscono: «Sono illazioni destituite di ogni fondamento».

Hacker e servizi segreti

Eppure gli accessi abusivi ci sono stati e hanno riguardato persone comuni ma anche personaggi famosi e le più alte cariche dello Stato. Come hanno fatto gli “spioni”? Secondo l’accusa, hanno usato «intercettazioni, perquisizioni, intrusioni e pedinamenti informatici, hackeraggio di dispositivi e intercettazioni ambientali», come si legge negli atti. Che proseguono: «Lo spaccato che emerge dalla presente indagine vede lo strumento delle intercettazioni, soprattutto telematiche, utilizzate come un ordinario sistema d’acquisizione di informazioni da parte dei privati che possono permettersele».


D’altronde la base di questi dossieraggi sta nel fatto che gli spioni sono hacker in grado di entrare ovunque. E hanno contatti, stando a quanto dicono loro stessi, con «i servizi segreti, veri o deviati». Non solo: lavorano per quelle stesse procure che poi li hanno indagati, come successo a Torino con Gabriele Edmondo Pegoraro e i suoi complici Daniele Rovini e Lorenzo Di Iulio: tutti finiti nel filone torinese perché sfruttavano i loro rapporti e le loro capacità per infiltrarsi in telefoni e computer.

Le escort e Arciere

L’ispezione alla Juventus per favorire un amico, una spy story alla Kerakoll, l’idea di reclutare gruppi di escort alla modica cifra di 40mila euro per «creare situazioni imbarazzanti»: c’è di tutto nel filone torinese sui dossieraggi illegali, inchiesta della procura di Torino tornata di attualità in concomitanza con quella appena esplosa a Milano.

L’indagine torinese, coordinata dai pubblici ministeri Gianfranco Colace e Giovanni Caspani, ha già portato ad avvisi di chiusura indagini per 28 persone. E il 23 gennaio arriverà davanti al giudice per l’udienza preliminare, che dovrà decidere quanti degli imputati mandare a processo.

La figura chiave è considerata Riccardo Ravera, 60 anni, carabiniere in pensione che fece parte della leggendaria squadra del Ros che catturò Totò Riina (era il vice del capitano Ultimo con il nome in codice di Arciere). A lui, secondo le indagini, è riconducibile la gestione di due agenzie investigative e di security. Ma c’è anche un altro membro di quel gruppo, noto come Vikingo, che da luogotenente dell’Arma di Alessandria avrebbe effettuato una serie di ricerche abusive nelle banche dati della polizia.

Nel 2018 Andrea Remotti, dirigente alla Kerakoll (multinazionale di prodotti per l’edilizia con sede a Sassuolo), chiese a Vikingo informazioni su Carmelo Salerno, imprenditore e presidente del Modena calcio. Non solo: per conto di Kerakoll, un’agenzia di Ravera avrebbe spiato con cimici e microcamere riunioni fra manager di diverse aziende (Mapei, Sika-Index e la stessa Kerakoll). E spunta di sfuggita anche la Juve, come una specie di capro espiatorio: “colpa” di una multa inflitta nel 2017 dal Nucleo ispettivo del lavoro a un’agenzia di Ravera in occasione di un concerto di Tiziano Ferro allo stadio Olimpico. Arciere lamentò una disparità di trattamento rispetto alla Juve e qualche mese dopo scattò un’ispezione nella sede della società bianconera. A disporla - secondo i pm aggirando le procedure - fu il capo del Nucleo, il maresciallo Maurizio Trentadue. Il quale, più tardi, svolse anche dei controlli su un’agenzia di security che lavorava in un complesso per grandi eventi, poi licenziata e sostituita con una ditta collegata a Ravera. Arciere avrebbe ricambiato il favore organizzando un incontro con il generale Umberto Sinico, dirigente in servizio alla Presidenza del Consiglio, per far diventare Trentadue una spia dei servizi segreti.

La smentita del Csi

Tutti i passaggi del filone torinese ritornano negli atti dell’inchiesta milanese sul “gruppo di via Pattari”, come viene definito nei documenti: stando a quanto emerge dagli atti, c’erano rapporti fra i torinesi, l’hacker (arrestato) Nunzio Calamucci e la Equalize, controllata al 95% dall’indagato Enrico Pazzali (presidente di Fondazione Fiera Milano) e al 5% dall’ex “super poliziotto” Carmine Gallo. Che, infatti, hanno discusso a lungo dell’inchiesta torinese quando ci furono perquisizioni e sequestri. Eppure hanno continuato a infiltrarsi senza preoccuparsi più di tanto. Non nel Csi, stando alla nota con cui il Consorzio nega ogni coinvolgimento (nonostante venga citato negli atti dell'inchiesta): «Non abbiamo mai avuto rapporti con la società Equalize o gestito interazioni con la piattaforma “Sistema Sdi” del Ministero dell’Interno. Dai sistemi di monitoraggio e controllo del Csi, costantemente presidiati h24 da parte del Security Operation Center, non risultano in alcun modo né accessi impropri, né esfiltrazioni di dati. Non abbiamo ricevuto comunicazioni rispetto a indagini in corso ma abbiamo informato di quanto appreso dalla stampa la polizia postale di Torino, nell’ambito del protocollo di collaborazione con le forze dell’ordine».

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