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L'inchiesta
06 Dicembre 2024 - 07:47
Da un lato, i pm scavano fra i documenti dell’archivio riservato di Gianni Agnelli. Dall’altro, non possono indagare su parte della documentazione bancaria e fiscale degli Elkann perché Svizzera e Liechtenstein non hanno neanche risposto alle loro rogatorie. In sostanza, l’inchiesta sull’eredità Agnelli va avanti ma senza gli atti custoditi nei paradisi fiscali. I quali finiscono per dare una grossa mano agli Elkann, che nei Paesi a fiscalità privilegiata mantengono da tempo conti e fiduciarie.
Com’è noto, l’inchiesta della Procura di Torino parla di frode fiscale e truffa ai danni dello Stato: nel mirino c’è la residenza svizzera di Marella Agnelli, vedova dell’Avvocato (inchiesta partita dopo la denuncia di Margherita Agnelli). Gli indagati sono John Elkann, i suoi fratelli Lapo e Ginevra, il notaio Urs von Grueningen e lo storico commercialista Gianluca Ferrero (che è anche l’attuale presidente della Juventus).
Secondo l’ipotesi d’accusa, Marella viveva in Italia e quindi avrebbe lasciato decine di milioni di tasse non pagate ma anche gioielli, quadri e fondi custoditi alle Bahamas non inseriti nella successione. Senza contare l’ultimo dettaglio: il procuratore aggiunto Marco Gianoglio e i sostituti Mario Bendoni e Giulia Marchetti mettono in dubbio il passaggio di quote della Dicembre, storica cassaforte di famiglia che controlla l’accomandita Giovanni Agnelli B.V. e a cascata la holding Exor, azionista tra le altre di Stellantis, Juventus e Ferrari (e per questo hanno iscritto nel registro degli indagati anche il notaio Remo Morone, che ha sottoscritto la transazione).
Della Dicembre, John Elkann ha il 60%, Lapo e Ginevra il 20% ciascuno. Ma nessuno di loro avrebbe pagato gli 80 milioni di “compenso” alla nonna in cambio del 41,29% della cassaforte di famiglia. Anzi, Marella Caracciolo avrebbe versato 100 milioni ai “cari” nipoti. Quindi le quote sarebbero rimaste alla nonna fino alla sua morte, quando non sarebbe stata versata la tassa di successione: calcolati a spanne, allo Stato mancherebbe il 4% di 1 miliardo e 600 milioni, cioè altri 64 milioni di euro rispetto a quelli non versati nelle fasi precedenti e per cui i magitrati hanno già disposto un sequestro da quasi 75 milioni.
I dettagli di questi passaggi dovrebbero “spuntare” negli atti trovati nello studio Grande Stevens, dove lavorava “l’avvocato dell’Avvocato”. E dove sono stati trovati computer, documenti e archivi segreti che ora i pm e i finanzieri stanno passando al setaccio (anche se i difensori degli Elkann hanno già fatto ricorso al Tribunale del Riesame per chiederne la restituzione).
Non potranno fare lo stesso con i documenti fiscali e contabili che gli Elkann hanno in Svizzera e Liechtenstein: dai conti alla Lgt Bank di Vaduz a quelli del Credit Suisse di Zurigo e della banca Pictet & Cie di Ginevra, da cui si sono “mossi” i soldi all’epoca del passaggio delle quote della Dicembre. Le convenzioni internazionali consentono agli inquirenti di inviare delle rogatorie, cioè delle richieste di accedere a documenti esteri. Eppure Svizzera e Liechtenstein non hanno dato risposta.
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