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il caso

La sindaca di Carmagnola: «La mafia qui c'è. Incendiate le auto di vicesindaco e assessori»

Il racconto della prima cittadina Ivana Gaveglio all'incontro sulle mafie in Piemonte organizzato dalla Cgil

La sindaca di Carmagnola, Ivana Gaveglio, all'incontro “Le mafie in Piemonte: dalla conoscenza al contrasto per la libertà nel lavoro”

La sindaca di Carmagnola, Ivana Gaveglio, all'incontro “Le mafie in Piemonte: dalla conoscenza al contrasto per la libertà nel lavoro”

Fin dal primo giorno dell’insediamento, la sua giunta è stata presa di mira. Sono già tre, le macchine date alle fiamme. «Nel 2016, quando mi sono insediata, non avevo la consapevolezza di dove mi sarei trovata. E’ stata dapprima incendiata la macchina del vicesindaco, poi hanno dato fuoco ad altre due macchine dei miei assessori». A raccontare l’episodio è Ivana Gaveglio, la sindaca di Carmagnola.

Eletta una prima volta nel 2016, la prima cittadina nel 2021 è stata riconfermata in un paese, Carmagnola, dove purtroppo la ‘ndrangheta ha confermato di esserci eccome. E’ qui infatti che il 24 settembre scorso è stato arrestato il boss Francesco D’Onofrio, in un’operazione della Finanza che ha visto in manette altre cinque persone e scovato l’esistenza di un’associazione criminale nel settore edilizio, in quello immobiliare, nei trasporti e nella ristorazione. Proprio a Carmagnola, oggi, si è tenuto l’incontro “Le mafie in Piemonte: dalla conoscenza al contrasto per la libertà nel lavoro”, organizzato dalla Cgil e che ha visto protagonisti Maurizio Landini, Giorgio Airaudo, Federico Bellono, Antonio Di Franco, Paolo Cosseddu, Lucia Musti e don Lugi Ciotti. A fare gli onori di casa, appunto, la sindaca Ivana Gaveglio. Che ha confessato: «Credevo di amministrare una città tranquilla. Non era così, gli atti intimidatori sono stati tanti e ci siamo anche costituirti parte civile nei vari processi».

Un incontro, quello di oggi, dove purtroppo è emersa (a sole 24 ore dagli arresti dell’operazione “Samba”) la particolare situazione del Piemonte che, di fatto, è come il Sud, dove la ‘ndrangheta è infiltrata in parecchi settori e ben cento aziende hanno subìto l’interdittiva antimafia. Aziende grandi come la Cogefa, che l’ha ricevuta nell’inchiesta che ha coinvolto i suoi ex vertici (anche se poi i giudici hanno accolto il ricorso e riabilitato il colosso delle grandi opere), ma anche piccole imprese. Infatti, il settore dove sono state emesse più interdittive è quello della ristorazione e degli alimentari. Bar, tabaccai, ristoranti, panetterie, questi gli esercizi commerciali chiusi perché controllati dai mafiosi. «L’edilizia è al secondo posto, mentre al terzo troviamo il settore degli autotrasporti», ha sottolineato il viceprefetto di Torino, Paolo Cosseddu.

Ma la criminalità organizzata in Piemonte assolda anche gli immigrati. «I nordafricani, tunisini, marocchini e algerini, per le mafie sono manodopera importantissima», ha ricordato il procuratore generale del Piemonte, Lucia Musti. «Purtroppo non siamo diversi dalla Calabria. Siamo una regione “presidiata dalle mafie” perché nel Piemonte c'è ricchezza e le mafie fanno affari. E da tempo stanno provando a infiltrarsi persino nei sindacati. Per cui ad ogni iscritto dico: denunciate ogni caso sospetto», ha detto invece Giorgio Airaudo, segretario generale della Cgil Piemonte.

Numeri alla mano, a partire da Minotauro, la madre di tutte le inchieste sulle cosche datata 2011, nella nostra regione ci sono state 25 operazioni antimafia, dunque due all’anno. Con l’operazione “Samba”, che ha rivelato i traffici tra l’Italia e il Brasile, gli arresti sono stati 23. «Ma la mafia si rigenera sempre - ha ammonito don Ciotti - e la ‘ndrangheta è ancora forte, essendo presente in cinque continenti e 42 nazioni al mondo».

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