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L'editoriale

Dall'Urss a Putin: la continuità imperiale russa e il tradimento di Trump

L’ombra del Cremlino: continuità storica e complicità occidentale nell'espansionismo russo

Dall'Urss a Putin: la continuità imperiale russa e il tradimento di Trump

Non c’è soluzione di continuità tra la geopolitica espansionistica dell’Unione Sovietica e quella della Russia putiniana. A cambiare sono i tempi, le condizioni storiche e il linguaggio propagandistico, ma l’essenza rimane la stessa: Mosca si considera erede di un impero che non ha mai smesso di allungare le mani sull’Europa. L’aggressione dell’Ucraina del 2022 non è un unicum, ma si iscrive in una tradizione che risale almeno agli accordi tra Stalin e Hitler, per passare poi alla spartizione di Yalta, fino alle invasioni di Budapest nel 1956 e di Praga nel 1968. Oggi, Putin si trova davanti un interlocutore che non solo non oppone resistenza, ma di fatto agevola il disegno imperialista russo: Donald Trump.

CARRI ARMATI A PRAGA

Il 23 agosto 1939, Stalin e Hitler firmarono il patto Molotov-Ribbentrop, che ufficializzava un’alleanza scellerata tra URSS e Germania. Il protocollo segreto del trattato stabiliva la spartizione dell’Europa orientale: la Germania avrebbe potuto occupare la parte occidentale della Polonia, mentre l’URSS si sarebbe impossessata della parte orientale, insieme a Estonia, Lettonia, Lituania e Finlandia. L’Armata Rossa, in spregio a ogni principio di autodeterminazione dei popoli, marciò anche lei sulla Polonia nel settembre del 1939, mentre la Gestapo e l’NKVD collaboravano per eliminare ogni forma di resistenza. Il massacro di Katyn (1940), con l’assassinio di oltre 20.000 ufficiali polacchi per mano sovietica, è solo uno degli esempi della brutalità con cui Stalin impose il proprio dominio. La fine della Seconda guerra mondiale non segnò la fine dell’espansionismo russo, ma solo la sua mutazione sotto un’altra veste ideologica. A Yalta, nel febbraio 1945, Stalin negoziò con Roosevelt e Churchill una spartizione dell’Europa che garantisse all’URSS il controllo su Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria. Il risultato fu che l’Europa orientale divenne un’enorme prigione a cielo aperto, dove le libertà individuali furono schiacciate e ogni forma di dissenso venne repressa con la violenza. L’ideologia comunista fu il paravento dietro cui si celava la realtà: l’imperialismo sovietico non era diverso, nei suoi obiettivi, da quello zarista.

RIVOLTA IN UNGHERIA

Mosca non esitò a schiacciare con la forza ogni tentativo di liberazione dall’egemonia sovietica. Nel 1956, quando l’Ungheria di Imre Nagy cercò di uscire dal Patto di Varsavia e ribellarsi alla dittatura comunista, i carri armati sovietici entrarono a Budapest, massacrando migliaia di insorti. Dodici anni dopo, nel 1968, toccò alla Cecoslovacchia. Alexander Dubcek tentò di dare un volto umano al socialismo con il suo programma di riforme noto come “Primavera di Praga”. La risposta sovietica non si fece attendere: 250.000 soldati e 2.000 carri armati varcarono i confini, soffocando nel sangue ogni speranza di libertà. Oggi la storia si ripete. Nel 2014, Mosca ha annesso illegalmente la Crimea, e nel 2022 ha avviato una guerra di conquista su larga scala contro l’Ucraina. Putin non fa altro che ripercorrere le orme dei suoi predecessori, con un disegno che mira a riportare l’intera Europa orientale sotto il controllo di Mosca. Ma se nel passato l’espansionismo sovietico si scontrava con la ferma opposizione dell’Occidente, oggi la situazione è diversa.

Se la Guerra Fredda fu caratterizzata da un equilibrio precario tra le due superpotenze, oggi assistiamo a un’inedita situazione in cui un leader americano, anziché contrastare l’espansionismo russo, sembra quasi favorirlo. Donald Trump ha più volte espresso ammirazione per Putin, descrivendolo come un “genio” all’indomani dell’invasione dell’Ucraina. Ma il vero atto di resa si è consumato sul piano geopolitico. Durante il suo mandato, Trump ha sistematicamente indebolito la NATO, minacciando di ridurre il sostegno agli alleati europei e lasciando intendere che gli Stati Uniti non sarebbero intervenuti in caso di aggressione russa, diventando di fatto il miglior alleato di Putin. Questa posizione è stata confermata anche nel 2024, quando Trump ha dichiarato esplicitamente che, se rieletto, non avrebbe garantito protezione agli Stati membri dell’Alleanza Atlantica che non avessero rispettato i criteri di spesa militare stabiliti. Un messaggio chiaro per Putin: l’America non sarà più un ostacolo alla sua espansione.

Ma il tradimento più grave riguarda l’Ucraina. L’amministrazione Biden, pur con i suoi limiti, ha sostenuto Kiev con aiuti militari fondamentali per la resistenza. Trump, al contrario, ha più volte espresso l’intenzione di tagliare questi aiuti, lasciando Zelensky e il popolo ucraino alla mercé dell’esercito russo. L’ex presidente americano si è di fatto allineato alla propaganda del Cremlino, suggerendo che la guerra sia colpa della NATO e che la soluzione sia una pace imposta, di fatto una resa negoziata, ovvero la capitolazione di Kiev. Malgrado la strenua resistenza e volontà di combattere l’invasore del popolo ucraino che si è visto occupare, dopo tre anni di attacchi russi, solo circa il dieci per cento del suo territorio. L’idea che l’imperialismo russo sia finito con la caduta del Muro di Berlino è una pericolosa illusione. Dalla spartizione della Polonia nel 1939 alla spartizione dell’Europa a Yalta, dall’invasione di Budapest nel 1956 a quella di Praga nel 1968, fino all’aggressione dell’Ucraina nel 2022, il disegno è lo stesso: espandere il controllo di Mosca con la forza. La differenza sostanziale rispetto al passato è che oggi Putin ha trovato un interlocutore disponibile a cedere senza combattere: Donald Trump. Se l’Occidente non si oppone con fermezza, il rischio è che il destino dell’Europa venga ancora una volta deciso nelle stanze del Cremlino, senza che nessuno abbia il coraggio di alzare un dito.

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