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L'editoriale degli altri
08 Giugno 2025 - 12:37
Elon Musk
Si cambia registro, si ritirano fuori le Tesla dai garage. E’ l’articoletto che avremmo voluto scrivere sei mesi fa, ma sempre meglio aspettare. Sulla fatidica “sponda del fiume” ormai c’è affollamento di cadaveri, si parcheggia in doppia fila. Avevamo dato del nazista-drogato a Musk, ce lo troviamo forse principale oppositore americano di Trump, forse fondatore di una nuova forza centrista. Sei mesi di boicottaggio in fumo. Si cambia registro, si ritirano fuori le Tesla dai garage, si tolgono gli adesivi, Sheryl Crow telefona al carro attrezzi che gliela portava via davanti casa per un reel di disobbedienza civile. Editorialisti, opinionisti e fari della società civile possono finalmente dormire sereni. Si riattiva Starlink: il wi-fi in barca è salvo. Avremmo dovuto comprarci la Tesla dai Fratoianni’s mesi fa, oggi gliela rivendevamo a trentamila euro. Le quarantotto ore più folli restano però quelle del “saluto nazista”. Un caso da manuale dei nostri tempi. Il giorno dell’insediamento di Trump non stavo guardando la tv, ma le mie chat a un certo punto sono impazzite. «ha fatto il saluto nazista... HA FATTO IL SALUTO NAZISTA». Mi arrivavano notifiche a raffica con l’immagine di Musk sul podio della Capitol One Arena di Washington: incorniciato da una bandiera americana, il braccio teso, la faccia ingrugnita. Sembrava proprio un “Sieg Heil”.
Aprivo X allarmato: «Non aspettano neanche il primo giorno per gettare la maschera!», «Ecco il fascismo, ve l’avevo detto!», scrivevano un po’ tutti col ditino puntato verso noialtri, sempre un po’ tiepidi col fascismo. Editorialisti, scrittori, opinionisti, fari della società civile, star accademiche che dichiaravano l’Apocalisse. Ruth Ben-Ghiat, studiosa del fascismo alla New York University, spiegava che non era solo un saluto nazista ma «un saluto nazista molto belligerante» (e cercavo di immaginare come potesse essere invece un saluto nazi soft, pacifico, tenerone). Aprivo la fatidica clip della “Haka” degli All Blacks. Diciamo che non tratteneva l’entusiasmo. Ripeteva più volte «my heart goes out to you», si batteva il petto col pugno, tendeva il braccio mi-mando il gesto di “lanciare il cuore” alla folla, ma in effetti si irrigidiva molto e veniva fuori come un saluto romano o nazista o fascista (partiva subito una fluviale querelle con influencer romane che dicevano «questa storia deve finire, i romani non si salutavano così!»). Non ero certo il solo a vederci più che altro tanta Barbara D’Urso. L’iconico motto che chiudeva le puntate: «Col cuore». Mano sul petto, braccio teso come a gettare il cuore verso il pubblico a casa, vi amo, sono vostra! Mi rendevo conto che era un’obiezione inutile. In quel momento Musk era nazista e basta. Chi nega è complice. E poi non credo che Ruth Ben-Ghiat abbia mai visto una puntata di “Domenica Live”. Però era proprio quella cosa li: una versione scomposta, aggressiva, ketaminica del saluto dursiano. «Per distinguere un saluto nazista camuffato da un saluto non nazista», spiegava Saviano su YouTube, «bisogna valutare il contesto, oltre che analizzare il gesto in sé». Poi, dopo attenta analisi del braccio su e giú, ecco un’epifania, una visione con fraseggio da libretto d’opera, Saviano s’infervorava: «La fine di tutto questo sarà violenta! Cadrà Musk per mano di coloro che ora aizza alimentati dalla stessa violenza che pratica!». Fascistometro addio «oltraggiava gli eroi del cinema»: Chaplin, Capra, Spielberg, tutti.
Anche qui immagini roboanti: «Stento a ipotizzare cosa stiano provando, in un affollatissimo Oltretomba, i 290mila americani come Ryan spediti a morire sul suolo europeo per sconfiggere il morbo del totalitarismo nazista». Col fascistometro di Murgia oramai impazzito, Chiara Valerio analizzava il «gesto storico, chiaro, limpido» di Musk, «quello di chi impone la pace e divide gli esseri umani in base a caratteristiche che possono essere ribelli/sudditi, ma anche in base a dati più quantitativi, sesso, colore della pelle, ge-nere, fede religiosa, conto corrente, avere figli o no, leggere o no» (che non sono sicuro siano “dati quantitativi” ma va bene). Le notizie di quei giorni le ho conservate tutte. Molto in alto nella mia hit-parade c’è quella dell’Istituto Cervi, casa simbolo della Resistenza. Dopo anni di buio aveva finalmente risolto i suoi problemi di connessione grazie a Starlink. Ora doveva disdire l’abbonamento: «I nostri valori sono incompatibili». E ripiombava nel nulla non cablato della Pianura Padana. Per fortuna ora c’è il partigiano Elon.
Andrea Minur
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