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sciopero
17 Giugno 2025 - 16:30
Dopo anni di denunce e condizioni di lavoro insostenibili, qualcosa si muove nel distretto tessile di Prato, il più grande d’Europa e uno dei cuori pulsanti del “made in Italy” nel settore dell’abbigliamento. Gli scioperi organizzati tra il 30 maggio e il 2 giugno hanno ottenuto risultati concreti: 28 aziende, quasi tutte a conduzione cinese, hanno firmato accordi sindacali per migliorare le condizioni dei lavoratori.
Per la prima volta, viene garantita la settimana lavorativa di 40 ore, insieme a contratti a tempo indeterminato, aumenti salariali e la possibilità di assentarsi dal lavoro per lunghi periodi, per esempio per rientrare nei Paesi d’origine.
Gli scioperi, organizzati dal sindacato S.I. Cobas Prato Firenze con lo slogan “Strike Days”, hanno coinvolto decine di piccole aziende – molte con appena 10 o 15 dipendenti – che producono capi d’abbigliamento per conto terzi. Secondo il sindacato, in queste imprese i lavoratori sono spesso costretti a turni di 12 ore al giorno per 7 giorni a settimana, senza tutele e con contratti irregolari o inesistenti. «È un risultato straordinario, considerati i pochi giorni di sciopero che abbiamo fatto», commenta Sarah Caudiero, sindacalista di lungo corso nel distretto. «Abbiamo ottenuto molto: orari regolari, contratti stabili e anche aumenti di paga base. Ora i lavoratori potranno anche avere 40 giorni l’anno per tornare nei loro Paesi, sommando ferie e aspettativa».
Molti dei lavoratori che hanno scioperato provengono da Pakistan, Bangladesh e Afghanistan. In particolare, le persone richiedenti asilo – spesso in situazioni precarie – sono tra le più esposte allo sfruttamento. Coinvolgere invece i lavoratori cinesi resta più complicato: molti di loro vivono in case affittate dagli stessi datori di lavoro, e scioperare può voler dire anche rischiare di perdere l’alloggio. «Stiamo cercando di coinvolgere anche la comunità cinese, ma serve tempo e fiducia», dice ancora Caudiero. «Il messaggio è chiaro: il sindacato è disposto a tutelare tutti, a prescindere dalla nazionalità».
I risultati ottenuti hanno un peso particolare anche perché i controlli ufficiali dell’Ispettorato del lavoro raramente portano a cambiamenti strutturali. Spesso si concludono con semplici sanzioni o con la regolarizzazione parziale di qualche contratto part-time, mentre la realtà quotidiana – lavoro senza diritti e orari massacranti – rimane invariata.
Per molte aziende del distretto, lo sfruttamento della manodopera è stato l’unico modo per restare a galla negli anni difficili che hanno colpito il settore. Ma la mobilitazione dal basso sembra iniziare a fare breccia dove l’intervento istituzionale si è rivelato inefficace.
A rendere ancora più difficile la vita dei lavoratori è il contesto in cui si muovono. A Prato è in corso quella che i giornali locali hanno ribattezzato la "guerra delle grucce": una serie di scontri violenti tra gruppi criminali cinesi che si contendono il controllo della logistica e della produzione parallela. La procura parla ormai apertamente di una mafia cinese attiva nel distretto, responsabile di intimidazioni, aggressioni, incendi dolosi ai magazzini e persino omicidi.
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