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Il colloquio
09 Agosto 2025 - 09:00
Emma Avezzù
Passano gli anni e anche la violenza cambia con il tempo. Soprattutto quella a opera dei minori: «negli ultimi due anni c’è un fenomeno, direi nazionale, che vede lame e coltelli in mano a giovanissimi sotto i 18 anni». A parlare è Emma Avezzù, dal 2019 alla guida della Procura dei minorenni del Piemonte e della Valle d’Aosta «lo scorso anno abbiamo avuto 9 tentati omicidi e un omicidio riuscito. I mezzi, appunto come le armi bianche, sono diventati più violenti, e le modalità dei reati più aggressive». Ma delinquenti non si nasce «Dietro c’è, spesso e quasi sempre, una situazione di disagio che parte dai genitori e delle famiglie, nuclei che spesso non sono attenzionati o sostenuti come dovrebbero. Un esempio negativo è impattante sui ragazzi e sulle ragazze, cominciano con reati piccoli».
Poi? «E poi spesso non ci sono i mezzi per contrastare sul nascere, o meglio, per prevenire. Cerchiamo di stare dietro a tutto, ma facciamo molta fatica». Carenza di personale per tutto quello che non è un reato grave «su cui non abbiamo le forze organiche per intervenire».
E c’è da fare anche i conti con la lentezza della burocrazia, esattamente come accade per i fatti di giustizia dei “grandi”.
Delitti minori, crimini commessi da ragazzi minorenni «che entrano in carcere anni dopo, quando sono maggiorenni, quando magari hanno già provato a dare una svolta alla loro vita». Avezzù spiega che «purtroppo non c’è nulla di cui stupirsi. Per i reati dei minori non c’è una corsia preferenziale e le definitive arrivano anni dopo». Ogni anno si contano sul territorio cento arresti di ragazzi (e talvolta ragazze) sotto i 18 anni: una media di due alla settimana. Al Ferrante Aporti, l’istituto penitenziario per i minorenni, in questo momento ci sono 46 persone. Non è sovraffollato. «Molti che sono dentro il nostro istituto provengono da Genova e Milano, come molti dei “nostri” sono al Sud Italia. Dopo la rivolta diversi ragazzi sono stati trasferiti» continua la procuratrice. Età dei giovani reclusi? «Anche quella si è abbassata rispetto al passato. Prima, molti ragazzi detenuti erano diciassettenni. Abbiamo, adesso, alcuni 15enni. E non è così inusuale, nell’ultimo periodo. Spesso alcuni non riescono ad accedere - o a restare - nelle comunità che scarseggiano, o in altri casi, non riescono a gestire la persona. A volte, sono i ragazzi che scappano dalle strutture e così sia arriva alla misura cautelare più restrittiva, l’ingresso in carcere».
Secondo l’ultimo rapporto dell’associazione Antigone, solo il 35% dei detenuti italiani è in carcere con una sentenza definitiva. Nei mesi estivi, quando la scuola chiude e le giornate si allungano, quel poco di struttura che regge la vita in carcere viene meno. Il risultato è un vuoto fatto di noia, caldo e tensione, che negli Istituti penali per minorenni (Ipm) si trasforma spesso in una miscela esplosiva.
Ne è stato esempio clamoroso quanto accaduto ad agosto 2024 al Ferrante Aporti di Torino. In un clima di sovraffollamento e caldo insopportabile, decine di giovani detenuti hanno inscenato una violenta protesta, incendiando locali, minacciando agenti e tentando l’evasione. A distanza di quasi un anno, sono arrivate le prime sentenze: il Tribunale per i minorenni ha condannato nove ragazzi – all’epoca tra i 15 e i 17 anni – per devastazione e saccheggio. Le pene complessive ammontano a 37 anni di carcere. Nel frattempo, l’estate 2025 all’interno dell’Ipm ha assunto un volto solo parzialmente diverso. Qualche attività in più, una maggiore attenzione da parte delle istituzioni, ma le criticità di fondo restano: personale in difficoltà, poche alternative al tempo vuoto.
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