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SALUTE
10 Agosto 2025 - 18:20
Neutralizza una delle tossine più potenti conosciute, ma non può cancellare i danni già fatti. L’antidoto contro il botulismo è una corsa contro il tempo: agisce solo nelle prime ore, bloccando la tossina ancora in circolo, e per questo la sua somministrazione è regolata da protocolli rigidissimi. In Italia, il siero è custodito e distribuito unicamente dal Centro Antiveleni di Pavia, fulcro di una rete d’emergenza nazionale che si attiva al primo sospetto di contagio.
Il botulismo, spiegano gli esperti dell’Istituto Superiore di Sanità, è una malattia grave che può richiedere il ricovero in terapia intensiva per garantire il supporto respiratorio e la protezione degli organi vitali. La cura specifica è la somministrazione di un siero anti-tossine botuliniche, capace di neutralizzare la tossina presente nel sangue.
Il farmaco, però, non può agire sulle tossine già penetrate nei neuroni: per questo, una somministrazione tardiva riduce drasticamente l’efficacia. Nei casi più gravi, il recupero può richiedere settimane o mesi, anche con terapie di supporto. La mortalità resta intorno al 5%.
Nessun ospedale e nessuna Regione possono conservare il siero in autonomia. Una nota della Regione Calabria lo ribadisce: la gestione è affidata esclusivamente al Centro Antiveleni di Pavia, mentre il farmaco è di proprietà del ministero della Salute, custodito in luoghi sicuri e distribuito solo attraverso il centro lombardo.
Questa centralizzazione risponde a ragioni di sicurezza e di conservazione: il farmaco è delicato, richiede condizioni specifiche e un controllo rigoroso sulla sua distribuzione.
In caso di sospetto botulismo, l’ospedale o il servizio sanitario locale contatta immediatamente Pavia. Dopo la valutazione del caso, il Centro inoltra la richiesta al ministero, che autorizza il prelievo del siero dai depositi e ne organizza il trasporto rapido.
Solo in situazioni eccezionali – come accaduto di recente a Cosenza – è possibile autorizzare una scorta temporanea direttamente in ospedale.
Il Clostridium botulinum produce spore in grado di resistere per decenni in condizioni sfavorevoli. Quando trovano l’ambiente giusto – assenza di ossigeno, pH superiore a 4,6, molta acqua libera e abbondanza di proteine – si trasformano in cellule attive e rilasciano la tossina. Condizioni che possono verificarsi in alimenti conservati in modo scorretto, soprattutto se privi di adeguati trattamenti termici o di acidità sufficiente.
I recenti casi in Sardegna e Calabria, con un decesso e più sospetti, mostrano quanto sia cruciale il coordinamento della rete nazionale. L’antidoto contro il botulismo non è un farmaco qualunque: è uno strumento salvavita che richiede competenza, velocità e una gestione centralizzata per arrivare in tempo là dove serve.
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