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Energia sostenibile

Il gigante da 370 miliardi che può decidere il futuro della transizione energetica: ecco chi è

Senza un piano di riciclo su larga scala, l’Europa rischia di fallire i suoi obiettivi climatici

Il gigante  da 370 miliardi che può decidere il futuro della transizione energetica: ecco chi è

Nel dibattito sulla transizione energetica, l’attenzione di governi e istituzioni è puntata su materiali “esotici” come litio, cobalto e terre rare. Ma la vera sfida potrebbe giocarsi su un fronte meno appariscente: quello delle poliolefine, la famiglia di materiali che include polietilene e polipropilene. Un comparto enorme — 370 miliardi di dollari di valore globale, in crescita del 5% annuo — che oggi viene trattato più come problema ambientale che come risorsa strategica.

In Europa, le poliolefine rappresentano quasi metà dei consumi di plastica. Sono ovunque: nell’isolamento dei cavi delle reti elettriche, nelle componenti che proteggono i pannelli solari per trent’anni, nei sistemi di cablaggio che collegano parchi eolici offshore alla rete. Senza questi materiali, la strategia REPowerEU, che punta a oltre 1.200 GW di capacità rinnovabile entro il 2030, rischia di restare sulla carta.

Il ruolo delle poliolefine non si ferma all’energia. Le siringhe e le sacche IV della sanità moderna, le confezioni alimentari che allungano la conservazione dei prodotti, le tubature in polietilene progettate per durare un secolo: sono tutte applicazioni che tengono insieme pezzi fondamentali delle nostre società. Eppure, nel disegno politico europeo, questi usi raramente vengono considerati parte della strategia per la resilienza.

Il problema della plastica è reale. Ma, nel caso delle poliolefine, il vero limite non è la riciclabilità: è l’assenza di infrastrutture su larga scala. Oggi in Europa solo il 23% dei rifiuti post-consumo di questi materiali viene recuperato. Non perché non si possa fare: le poliolefine possono essere riciclate più volte, anche chimicamente riportate a monomeri e trasformate in materiale “vergine”. La differenza la fa il sistema, non il polimero.

Investire in impianti di trattamento non è solo un tema ambientale: è una scelta industriale. 100.000 tonnellate di rifiuti poliolefinici trattati ogni anno possono generare fino a 130 milioni di euro di valore aggiunto e creare 1.000 posti di lavoro. Per le aziende, l’uso di feedstock riciclati può abbattere i costi del 20-40%.

A differenza delle terre rare, le poliolefine possono essere prodotte da fonti diversificate: gas, biomasse, persino CO₂ catturata. Significa autonomia e resilienza. Ma per ora Bruxelles continua a ignorarle, frammentando le politiche tra energia, industria e ambiente.

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