C’è un paradosso che serpeggia tra i filari di nocciole: quando il frutto scarseggia e i prezzi raddoppiano, chi compra può permettersi di tirare il freno? E soprattutto, cosa accade quando quel compratore è tra i più grandi al mondo e dall’altra parte c’è il principale Paese produttore? Nel “nocciolo” della questione c’è Ferrero, colosso dolciario di Alba, e c’è la Turchia, primo produttore globale di nocciole. Sul tavolo, una stagione 2025 falcidiata dal maltempo e dagli insetti, listini schizzati da 9 a 18mila dollari a tonnellata, e l’ombra di sanzioni antitrust se l’azienda dovesse mantenere la decisione di non acquistare frutti coltivati nel Paese. Ecco gli scenari.
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Ccosa è successo: tra accordi, accuse e mercato in fibrillazione Secondo quanto riportato dai media internazionali, dopo le accuse del
garante turco per la concorrenza nei confronti di
Ferrero per
abuso di posizione dominante nel mercato delle
nocciole, lo scorso anno era stato raggiunto un
accordo. L’intesa prevedeva l’impegno del gruppo ad acquistare almeno 45mila tonnellate di
nocciole l’anno in
Turchia. Una quantità ragguardevole, coerente con il ruolo della
Turchia come fornitore cardine della
filiera mondiale. Per il 2025, tuttavia, quello stesso
accordo è stato rimodulato: gli
acquisti minimi sono stati ridotti a 30mila tonnellate, in ragione della minore disponibilità di prodotto e dei problemi di
qualità legati al
maltempo primaverile e alla pressione degli
insetti. È un adeguamento che riconosce il colpo inferto dalla natura al raccolto. Ma l’equilibrio resta fragile: le autorità turche per la concorrenza, infatti, potrebbero imporre
multe nel caso in cui
Ferrero confermasse la decisione di non procedere all’acquisto delle
nocciole coltivate localmente, proprio mentre i
prezzi sono balzati da 9 a 18mila dollari a tonnellata.
Prezzi raddoppiati: la filiera scricchiola Il raddoppio del prezzo è la fotografia più eloquente del disequilibrio tra
domanda e
offerta. La stagione 2025, segnata dalla scarsità del raccolto e da criticità qualitative, ha compresso la disponibilità di
nocciole sul mercato. In simili condizioni, i
prezzi si impennano e le filiere si irrigidiscono. Per i produttori agricoli, un listino più alto può apparire come un risarcimento parziale del minor raccolto; per i grandi acquirenti, al contrario, significa
costi più elevati e la necessità di ripensare piani di approvvigionamento, tempi e volumi. La dinamica è quella classica dei beni agricoli: l’elasticità dell’
offerta nel breve periodo è limitata, perché non si coltiva una nocciola “in più” per decreto, e le perturbazioni
climatiche colpiscono simultaneamente ampie aree. Se poi si sommano problemi di
qualità dovuti agli
insetti, non è solo una questione di quantità: anche il prodotto disponibile può non soddisfare gli standard richiesti dalle industrie di trasformazione. Il risultato è un mercato teso, dove ogni tonnellata pesa.
Antitrust e avversità climatiche Quando un acquirente è particolarmente rilevante per un comparto – come
Ferrero nel mondo della nocciola – il
rischio di squilibrio contrattuale è reale. È su questo crinale che si muove l’intervento del
garante turco per la concorrenza. L’accusa di
abuso di posizione dominante punta a prevenire condotte che, sfruttando la forza d’acquisto, possano distorcere il mercato o penalizzare i fornitori. L’
accordo dello scorso anno, con l’impegno a comprare almeno 45mila tonnellate, è stato lo strumento per stabilizzare la
domanda e offrire prevedibilità alla
filiera. La successiva
riduzione a 30mila tonnellate per il 2025, motivata dal calo di
produzione e dai problemi fitosanitari, introduce un elemento di flessibilità. Ma fino a che punto l’eccezionalità della stagione può giustificare un ulteriore passo indietro? La
domanda è cruciale. Se per le autorità turche la risposta è che i vincoli vanno comunque rispettati, per un grande acquirente la tentazione di fermarsi di fronte a
prezzi raddoppiati è forte. Qui il diritto della concorrenza incontra la realtà delle
avversità climatiche: come bilanciare, in buona fede, obblighi
contrattuali e sostenibilità economica?
Ferrero a rischio sanzioni La prospettiva di
multe in
Turchia pone
Ferrero davanti a un bivio operativo e strategico. Da un lato c’è la necessità di garantire continuità alla
produzione, tutelando i margini in una fase di
costi in crescita. Dall’altro c’è l’impegno – e l’attenzione regolatoria – in un mercato che resta vitale per la
filiera globale della nocciola. La scelta di non acquistare nel Paese, proprio nel momento di massima tensione dei
prezzi, viene letta dall’antitrust come una potenziale distorsione. Quanto pesa, in questo quadro, la reputazione di un brand che ha legato il proprio nome a un territorio agricolo e a migliaia di fornitori? In termini più ampi, è la classica sfida della gestione del
rischio lungo la
filiera: volumi,
qualità, prezzo, compliance. Strumenti come accordi di lungo periodo, clausole di flessibilità e impegni minimi servono a distribuire il
rischio tra agricoltori e industria. Ma nessun contratto può cancellare una cattiva stagione: può solo attenuarne gli effetti, se le parti collaborano. La riduzione a 30mila tonnellate va in questa direzione; una rinuncia secca agli
acquisti, invece, aprirebbe la porta alle sanzioni e irrigidirebbe ulteriormente il
clima.
Effetti a catena: dai campi turchi alla produzione ad Alba Cosa comporta tutto questo per i
contadini turchi e per le linee di
produzione ad
Alba? Per i primi, la garanzia di sbocco è fondamentale, ancor più quando il raccolto è scarso: un acquirente stabile mitiga la volatilità del
reddito. Per il
polo industriale, invece, l’accesso regolare alla materia prima sostiene la programmazione e argina lo spettro di rincari al consumatore finale. Se il prezzo delle
nocciole resta sui livelli indicati – da 9 a 18mila dollari a tonnellata – la pressione sui conti delle imprese dolciarie è evidente. Il
rischio di traslare parte dei
costi lungo la
catena del valore non è da escludere, con inevitabili riflessi sui
prezzi al dettaglio. Ma la
domanda che brucia è un’altra: è meglio pagare caro e mantenere la
filiera in moto, o fermarsi per evitare scelte economicamente onerose nel breve periodo? La risposta non è univoca. Dipende dall’orizzonte temporale, dal peso delle sanzioni potenziali, dalla capacità di assorbire
costi straordinari e, non ultimo, dal valore strategico attribuito alla relazione con la
Turchia.