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Economia & Territorio
08 Novembre 2025 - 08:10
Che la Nutella non sia prodotta solo con la nocciola Tonda Gentile del Piemonte, è ben noto. Non basterebbe dieci volte la produzione totale. Nocciole piemontesi sì, in misura di una "gentile" a 12, si dice - ma la vera formula è segreta -, ma anche coltivazioni della Ferrero all'estero, fornitori negli Stati Uniti, in Cile. E Turchia. Dove ora, però, è scoppiata una crisi che rischia di costare cara e avere ripercussioni internazionali.
Perché c’è un paradosso che serpeggia tra i filari di nocciole: quando il frutto scarseggia e i prezzi raddoppiano, chi compra può permettersi di tirare il freno? E soprattutto, cosa accade quando quel compratore è tra i più grandi al mondo e dall’altra parte c’è il principale Paese produttore? Nel “nocciolo” della questione c’è Ferrero, colosso dolciario di Alba, e c’è la Turchia, primo produttore globale di nocciole. Sul tavolo, una stagione 2025 falcidiata dal maltempo e dagli insetti, listini schizzati da 9 a 18mila dollari a tonnellata, e l’ombra di sanzioni antitrust se l’azienda dovesse mantenere la decisione di non acquistare frutti coltivati nel Paese. Ecco gli scenari.
La domanda è cruciale. Se per le autorità turche la risposta è che i vincoli vanno comunque rispettati, per un grande acquirente la tentazione di fermarsi di fronte a prezzi raddoppiati è forte. Qui il diritto della concorrenza incontra la realtà delle avversità climatiche: come bilanciare, in buona fede, obblighi contrattuali e sostenibilità economica?
Ferrero a rischio sanzioni
La prospettiva di multe in Turchia pone Ferrero davanti a un bivio operativo e strategico. Da un lato c’è la necessità di garantire continuità alla produzione, tutelando i margini in una fase di costi in crescita. Dall’altro c’è l’impegno – e l’attenzione regolatoria – in un mercato che resta vitale per la filiera globale della nocciola. La scelta di non acquistare nel Paese, proprio nel momento di massima tensione dei prezzi, viene letta dall’antitrust come una potenziale distorsione. Quanto pesa, in questo quadro, la reputazione di un brand che ha legato il proprio nome a un territorio agricolo e a migliaia di fornitori? In termini più ampi, è la classica sfida della gestione del rischio lungo la filiera: volumi, qualità, prezzo, compliance. Strumenti come accordi di lungo periodo, clausole di flessibilità e impegni minimi servono a distribuire il rischio tra agricoltori e industria. Ma nessun contratto può cancellare una cattiva stagione: può solo attenuarne gli effetti, se le parti collaborano. La riduzione a 30mila tonnellate va in questa direzione; una rinuncia secca agli acquisti, invece, aprirebbe la porta alle sanzioni e irrigidirebbe ulteriormente il clima.
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