Chi entra in un reparto di lungodegenza porta con sé fragilità, attese, fiducia. E si aspetta di trovare cura, non paura. Eppure, tra il 2022 e il 2024, l’ospedale Civico di Settimo — nel Torinese — sarebbe diventato, stando alle accuse, il teatro di una quotidianità inaccettabile: pazienti legati ai letti, lasciati coi pannoloni sporchi, sedati “per tenerli calmi” e spinti in carrozzina “solo se vengono i parenti”. Un catalogo di condotte che la procura di Ivrea, guidata per questo filone d’indagine dalla pm Valentina Bossi, definisce maltrattamenti e abbandono. Il 8 novembre 2025, la richiesta: un anno di interdizione dalla professione per 24 indagati tra medici e infermieri. È la seconda crepa che si apre nella sanità canavesana dopo Chivasso, un tassello della più ampia maxi indagine sull’Asl TO4.
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L’inchiesta e i nomi L’azione della Guardia di Finanza, incrociata con le risultanze della
Procura di Ivrea, accende i riflettori sul
reparto di lungodegenza del Civico di Settimo. Indagati il primario, Riccardo Greco, cinque medici dipendenti della società mista pubblico-privata
SAAPA (oggi in liquidazione) e diciotto infermieri, molti dei quali con partita Iva e di nazionalità straniera. Per tutti, la pm
Valentina Bossi ha chiesto la misura cautelare dell’interdizione dall’esercizio della professione per dodici mesi. È il “secondo filone” dopo l’indagine su Chivasso, nel quadro della più ampia ricostruzione sulle criticità dell’azienda sanitaria TO4.
Le accuse: sedativi e cinghie Il quadro tratteggiato dagli inquirenti è netto. Pazienti legati ai letti con cinghie e corde — “in modo feroce, con le braccia legate” — senza autorizzazioni né liberatorie firmate dai familiari;
sedazioni con farmaci ad alto impatto ansiolitico “per tenerli buoni”; errori ripetuti nella somministrazione di medicinali e terapie. L’ordinario, nelle intercettazioni e nelle conversazioni raccolte, suona come un paradosso clinico: “L’ho bombata bene ed è crollata”, si legge a proposito di una paziente sedata; “in sedia a rotelle solo se vengono i parenti”, la regola di fatto;
“pazienti non lavati per un mese intero”, l’abitudine; “libero di girare nudo per due giorni perché aveva urinato”, la punizione. Episodi come quello di una donna soffocata mentre veniva imboccata, commentato da un collega come “normale”, entrano nelle carte dell’accusa. E c’è anche
l’anziano di 101 anni, deceduto due giorni dopo l’osservazione dei militari: un dato, questo, riportato a verbale senza inferenze causali, ma che restituisce la fragilità estrema del contesto.
Le prove dalle telecamere Nessuna denuncia formale da parte dei familiari, che “non si sono accorti di nulla”, sostengono gli investigatori. A svelare ciò che accadeva tra corridoi e stanze sono state le videocamere di sorveglianza installate in reparto. Le immagini, secondo la ricostruzione di Finanza e Procura, hanno documentato
contenzioni, abbandoni, somministrazioni improprie e pratiche degradanti. È un paradosso amaro: serve l’occhio freddo delle telecamere per restituire voce a chi non può parlare. Ma può una telecamera sostituire una cultura della cura? O, come spesso accade, finisce per diventare l’ultimo argine quando i precedenti sono crollati?
Il contesto: carenze strutturali e appalti Gli inquirenti individuano due linee di frattura. La prima è quantitativa: “personale non adeguatamente formato e numericamente insufficiente rispetto alle necessità del reparto”, al punto che “se si chiedeva assistenza notturna nessuno rispondeva”. La seconda è qualitativa, e affonda nelle scelte organizzative: la presenza di infermieri con partita Iva e la gestione mista pubblico-privata, con la società
SAAPA oggi in liquidazione, configurano un ecosistema fragile. Il risultato — questa l’ipotesi accusatoria — è stato un reparto esposto a prassi scorrette consolidate nel tempo, proseguite “fino allo scorso anno” nonostante dal 2023 l’inchiesta fosse già divenuta pubblica. Se il sistema scricchiola, a pagare sono i più deboli: gli
anziani, i
pazienti non autosufficienti, coloro che dipendono da un campanello che, di notte, “non trova risposta”.
LE DOMANDE CHE RESTANO Il fascicolo della
Procura di Ivrea, con la richiesta di interdizione per 24 tra
medici e infermieri, chiama in causa non solo condotte individuali ma un’intera filiera di responsabilità. Il
reparto di lungodegenza del Civico di Settimo, per gli inquirenti, non è un caso isolato ma un “secondo filone” che si innesta su una più vasta inchiesta sull’
Asl TO4, già incardinata a partire da Chivasso. È legittimo, allora, chiedersi: come si è potuto arrivare a normalizzare l’eccezione? Quanti campanelli d’allarme sono stati ignorati quando, dal 2023, l’inchiesta era già nota? E perché i familiari non hanno percepito i segnali, se è vero che “solo quando venivano i parenti” si trovava il tempo per una carrozzina? Ciò che emerge è il volto più amaro della medicina, quando la pratica scade in routine spersonalizzate e la dignità diventa variabile dipendente dell’organico.