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Il fatto
10 Novembre 2025 - 07:20
Le due valanghe verificatesi in zone diverse dell’Himalaya nei primi giorni di novembre hanno avuto conseguenze drammatiche per diversi alpinisti italiani.
Tre di loro — Alessandro Caputo, Stefano Farronato e Paolo Cocco — hanno perso la vita rispettivamente sul Panbari Himal e sullo Yalung Ri.
Restano invece dispersi Marco Di Marcello, 37 anni, abruzzese, e Markus Kirchler, 29 anni, originario dell’Alto Adige, travolti dalla neve mentre si trovavano sullo Yalung Ri.
Cinque escursionisti provenienti dal Comasco, inizialmente segnalati come dispersi, sono stati invece ritrovati illesi e hanno già iniziato il viaggio di rientro in Italia.
I cinque alpinisti rientrati a Kathmandu hanno raccontato la loro esperienza ai microfoni di RaiNews 24:
“Non ci siamo mai sentiti in pericolo. Eravamo solo in una zona senza segnale e non avevamo idea di cosa stesse accadendo nel mondo.”
Sprovvisti di telefoni satellitari, gli escursionisti hanno spiegato di aver recuperato la connessione solo dopo diversi giorni:
“Quando abbiamo riavuto il contatto, da casa ci hanno spiegato la situazione. Ma noi stavamo bene: il tempo era pessimo, sì, ma abbiamo seguito il nostro itinerario fino a circa 5.000 metri di quota.”
Le operazioni di soccorso sullo Yalung Ri sono state sospese. I soccorritori hanno spiegato che il manto nevoso compatto e la presenza di crepacci rendono impossibile continuare le ricerche.
L’area interessata dalla slavina si trova su un ghiacciaio instabile, e le condizioni meteo avverse hanno peggiorato ulteriormente la situazione.
Gli esperti avvertono che eventuali nuove valanghe compatterebbero ancora di più la neve, rendendo il recupero dei corpi quasi irrealizzabile. Solo con il disgelo primaverile si potrebbe tentare un nuovo intervento.
Le salme di Caputo, Farronato e Cocco si trovano ora a Kathmandu, dove sono in corso le procedure per il rimpatrio in Italia.
Le autorità consolari italiane stanno offrendo supporto alle famiglie e coordinando le operazioni insieme all’ambasciata.
Purtroppo, non è la prima volta che le vette dell’Himalaya trattengono per sempre i corpi di grandi alpinisti.
Tra coloro mai recuperati figurano Karl Unterkircher, scomparso nel 2008 sul Nanga Parbat, e Daniele Nardi con l’inglese Tom Ballard, travolti nel 2019 sulla parete Diamir della stessa montagna.
Più di recente, la tragedia di Luca Sinigaglia, morto il 15 agosto sul Pik Pobeda per edema cerebrale, la cui salma non è ancora stata rimpatriata.
L’operazione condotta dal team AviA MEA – International Rescue Team si è svolta a oltre 5.400 metri di altitudine, tra condizioni climatiche estreme e rischi costanti.
Gli esperti ricordano che l’Himalaya e il Karakorum restano tra le catene montuose più pericolose al mondo: luoghi di straordinaria bellezza ma anche di enormi rischi per chi sfida la quota.
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