Cerca

CRONACA GIUDIZIARIA

Ivrea, colpo di scena al processo per la “rivoltina”: il giudice richiama a deporre il detenuto Surco

Tre agenti sono già stati assolti perché “il fatto non sussiste”: quella notte non erano in servizio. Per altri capi d’imputazione è intervenuta la prescrizione

Ivrea, colpo di scena al processo per la “rivoltina”: il giudice richiama a deporre il detenuto Surco

Dopo anni di indagini riaperte, udienze, testimonianze e richieste di condanna, il processo agli agenti di polizia penitenziaria per i presunti pestaggi nel carcere di Ivrea subisce un’improvvisa frenata. Il giudice Edoardo Scanavino ha deciso di riaprire l’istruttoria dibattimentale. Verrà ascoltato, come testimone e persona offesa, Eduardo Emilio Surco, detenuto e presunto bersaglio delle violenze avvenute nella notte tra il 25 e il 26 ottobre 2016, quella che da anni viene chiamata “la rivoltina”. La Procura generale in passato aveva già chiesto di sentire Surco, poi aveva ritirato l’istanza. Ora il giudice l’ha ripresa d’ufficio, a conclusione delle deposizioni. Surco, oggi recluso in Inghilterra, verrà collegato in videoconferenza durante l’udienza fissata per il 2 febbraio. Solo dopo la sua audizione, ha precisato Scanavino, potrà riprendere la requisitoria, ma limitatamente ai punti riaperti dal suo interrogatorio.

Il nome di Surco compare nelle prime pagine di quella notte all’interno della Casa circondariale di Ivrea. Era tra i detenuti che, secondo la ricostruzione dell’accusa, sarebbero stati picchiati da un gruppo di agenti. Tutto iniziò con una lettera collettiva firmata da quattro reclusi — Agostino Stefano, Giovanni Esposito, Matteo Palo e Francesco Maccarone — che descrissero scene di violenza e urla provenienti dall’“Acquario”, la stanza di isolamento che i Garanti definirono un “non-luogo”, privo d’aria e di luce. Scrivevano: «Nella notte tra il 25 e il 26 ottobre 2016 ci furono pestaggi e abusi verso sei detenuti, tra cui Angelo, Boccale Francesco, Edoardo Surco, Dolce Marco, Alex e Paparazzo. Sentimmo gridare “Stanno entrando!”, poi colpi, urla e voci di agenti che dicevano “Basta, così li ammazzate”». A distanza di quasi dieci anni, il processo è arrivato alla fase conclusiva. I sostituti procuratori generali Sabrina Noce e Giancarlo Avenati Bassi hanno chiesto 17 anni di condanne complessive, con pene comprese tra un anno e quattro mesi e un anno e otto mesi. L’accusa principale è quella di lesioni personali aggravate, inizialmente ipotizzate come tortura. Tre agenti — Mickael Palumbo, Giuseppe Carabotta e Giuseppe Pennucci — sono già stati assolti perché “il fatto non sussiste”: quella notte non erano in servizio. Per altri capi d’imputazione è intervenuta la prescrizione. Resta però in piedi il cuore del processo: relazioni di servizio falsificate, referti alterati, cartelle cliniche sparite, testimonianze che parlano di un metodo più che di un episodio isolato. Un metodo descritto in aula anche da Alfio Garrozzo, detenuto considerato testimone chiave, collegato in videoconferenza: «Non era una reazione a caldo — ha detto — ma dieci minuti di botte su un uomo immobilizzato. Quello non è un eccesso, è un metodo». A rafforzare l’impianto accusatorio ci sono le relazioni dei garanti dei detenuti: Bruno Mellano (regionale), Paola Perinetto (comunale) ed Emilia Rossi (nazionale), rappresentati dall’avvocata Maria Luisa Rossetti. Nel 2016 Mellano descriveva l’“Acquario” come una cella di contenimento illegittima, usata non per motivi sanitari ma per “raffreddare” i detenuti più difficili. «In piedi, al buio, senza ossigeno — scriveva —. Non un luogo di cura, ma un luogo di afflizione». Negli anni, la versione ufficiale dei “pavimenti bagnati” e delle “testate contro il muro” si è scontrata con referti medici che parlano di lesioni incompatibili con gli incidenti dichiarati: traumi multipli, contusioni, segni di manette, e cartelle cliniche modificate a posteriori. Le parti civili, tra cui Antigone, rappresentata dall’avvocata Simona Filippi, hanno ricordato che «nessuno dei processi in cui Antigone è parte civile nasce da una denuncia dei detenuti, ma da segnalazioni di figure terze di garanzia». Il 2 febbraio, dopo anni di silenzio, Surco parlerà. Da un carcere britannico, in collegamento video, racconterà la sua versione. Sarà la sua voce a riaprire un processo che sembrava chiuso, e forse a ridisegnare i contorni di una delle pagine più buie della detenzione italiana.

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Logo Federazione Italiana Liberi Editori L'associazione aderisce all'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria - IAP vincolando tutti i suoi Associati al rispetto del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale e delle decisioni del Giurì e de Comitato di Controllo.