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27 Dicembre 2025 - 07:55
La Legge di Bilancio per il 2026 interviene anche sul sistema previdenziale, introducendo alcuni correttivi all’accesso alla pensione. L’esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha confermato per il prossimo anno gran parte delle regole attualmente in vigore, rinviando gli aumenti dei requisiti anagrafici e contributivi al biennio successivo. Dal 2027, infatti, scatteranno graduali innalzamenti legati all’aspettativa di vita.
Nel 2026, dunque, sarà ancora possibile andare in pensione con le soglie attuali, affiancate da diversi canali di uscita anticipata pensati per specifiche categorie di lavoratori.
La forma più tradizionale di pensionamento resta quella di vecchiaia. Anche nel 2026 l’età minima per accedervi rimane fissata a 67 anni, con almeno 20 anni di contributi versati.
Per chi rientra interamente nel sistema contributivo (ovvero chi ha iniziato a lavorare dal 1996 in poi), è però necessario soddisfare un ulteriore requisito: l’importo dell’assegno deve essere almeno pari all’assegno sociale, che nel 2026 si attesta intorno ai 546 euro mensili. In caso contrario, l’uscita dal lavoro slitta a 71 anni, con un minimo di 5 anni di contribuzione.
Chi desidera lasciare il lavoro prima dell’età di vecchiaia può farlo attraverso la pensione anticipata. Nel 2026 serviranno:
42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini
41 anni e 10 mesi di contributi per le donne
Una volta maturati i requisiti, bisognerà attendere la consueta finestra mobile di tre mesi prima di ricevere il primo assegno.
È prevista anche la possibilità di andare in pensione a 64 anni, riservata esclusivamente a chi è interamente nel sistema contributivo. In questo caso occorrono:
almeno 25 anni di contributi
un assegno pensionistico pari ad almeno tre volte l’assegno sociale, cioè circa 1.638 euro mensili nel 2026
Questa opzione riguarda chi è nato entro il 1962, ma risulta difficilmente accessibile per chi ha avuto redditi bassi o carriere discontinue.
La Manovra proroga anche per il 2026 l’Ape sociale, un’indennità ponte destinata a lavoratori in condizioni di particolare fragilità. Possono beneficiarne coloro che hanno:
63 anni e 5 mesi di età
almeno 30 anni di contributi
La misura è rivolta a disoccupati, caregiver, persone con un’invalidità pari o superiore al 74%. Per chi svolge lavori gravosi, il requisito contributivo sale a 36 anni.
L’importo massimo è di 1.500 euro al mese, senza tredicesima. Possono accedervi i nati entro luglio 1963.
Un’altra possibilità è rappresentata dalla cosiddetta Quota 41, dedicata ai lavoratori precoci. È riservata a chi ha:
almeno 12 mesi di contributi effettivi versati prima dei 19 anni
un totale di 41 anni di contribuzione
una condizione di tutela (disoccupazione, caregiving, invalidità almeno al 74%, lavori usuranti)
Chi ha avuto una carriera continuativa può soddisfare il requisito contributivo a partire dai versamenti effettuati dal 1985.
Nel 2026 restano valide le agevolazioni per chi ha svolto attività particolarmente faticose. I lavoratori impegnati in mansioni gravose possono andare in pensione con:
66 anni e 7 mesi di età
almeno 30 anni di contributi
Rientrano in questa categoria, tra gli altri, operai dell’industria, infermieri e insegnanti della scuola dell’infanzia.
Per i lavori usuranti, invece, l’uscita è possibile con il raggiungimento della quota 97,6 per i dipendenti (61 anni e 7 mesi di età più 35 anni di contributi) e 98,6 per gli autonomi, con un anno in più di età. La misura interessa chi è nato entro l’inizio del 1965 e ha lavorato in modo continuativo dal 1991.
Tra le soluzioni residue figurano anche:
la pensione di invalidità, riservata ai lavoratori dipendenti con una riduzione della capacità lavorativa di almeno l’80% (61 anni per gli uomini, 56 per le donne);
l’isopensione, uno strumento concordato tra azienda e lavoratore che consente di anticipare l’uscita fino a sette anni prima della pensione ordinaria, con i costi interamente a carico dell’impresa, inclusi i contributi.
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