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Economia
15 Ottobre 2025 - 16:52
La filiera della componentistica automotive italiana vive uno dei momenti più difficili della sua storia recente. Dopo tre anni di crescita, il 2024 ha segnato una brusca frenata: il fatturato complessivo è calato del 6%, con una contrazione dell’occupazione e prospettive per il 2025 ancora più cupe. In Piemonte la riduzione dei ricavi è stata del 5,6%, mentre gli addetti sono diminuiti del 2,4%. Durante la presentazione dell’Osservatorio sulla componentistica automotive italiana e sui servizi per la mobilità 2025, tenutasi al MAUTO di Torino, la fotografia del settore è apparsa nitida: luci poche, ombre molte. «Il settore vive in un contesto di grande incertezza - ha commentato Massimiliano Cipolletta, presidente della Camera di commercio di Torino - tra crisi internazionali, transizione energetica, squilibri geopolitici e nuovi dazi. Le nostre imprese subiscono contrazioni di ricavi ed effetti sull’occupazione, più accentuati proprio in Piemonte».
A pesare è soprattutto la transizione verso l’elettrico, che mette in discussione il ruolo stesso della filiera europea. «L’approccio mono-tecnologico centrato sull’elettrico sta danneggiando i componentisti - ha sottolineato Marco Stella, presidente del Gruppo Componenti ANFIA.- Serve una strategia tecnologicamente neutrale che valorizzi anche i carburanti sintetici e le soluzioni carbon neutral, capaci di salvaguardare competenze e posti di lavoro».
Il quadro globale non aiuta. Se la domanda mondiale di autoveicoli è cresciuta nel 2024 (+2,8%), l’Italia continua a perdere terreno: 1,79 milioni di unità vendute, -15,9% rispetto al 2019. E la produzione domestica è crollata a 591 mila veicoli (-32,3%), con una previsione di ulteriore calo nel 2025, fino a circa 500 mila unità. A livello nazionale, le 2.134 imprese della componentistica danno lavoro a 168 mila persone e generano un fatturato di 55,5 miliardi di euro. Ma il 63% prevede un’ulteriore riduzione dei ricavi nel 2025, e più della metà delle aziende pensa di ridurre il personale. Il 38% ha già fatto ricorso alla cassa integrazione, un dato che testimonia la difficoltà di reggere un ciclo produttivo in contrazione.
Nonostante tutto, il settore non rinuncia alla sua vocazione innovativa. Il 64% delle imprese ha investito in ricerca e sviluppo, e più della metà ha introdotto innovazioni di prodotto. Cresce l’interesse per l’intelligenza artificiale, anche se solo il 3% la utilizza già nei propri processi: il 20% prevede di farlo nei prossimi tre anni. In aumento anche la ricerca di nuove figure professionali digitali e green, dal software development alla gestione ambientale.
Sul fronte politico, Andrea Tronzano, assessore piemontese alle Attività produttive, ha sottolineato la necessità di una reazione condivisa: «Le regioni del Nord stanno facendo fronte comune. Non è una crisi ma un cambio di pelle epocale: dobbiamo investire in ricerca e sviluppo e aiutare le imprese a transitare da un settore all’altro». Più diretto Roberto Vavassori, presidente di ANFIA: «Il 2024 non è stato brillante, il 2025 rischia di essere peggiore. Ma proprio oggi può iniziare la ripresa, se la politica saprà garantire competitività e una cornice regolatoria chiara. Servono capitani d’impresa all’altezza e una politica industriale che non aggiunga costi, ma crei opportunità».
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