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La crisi dell'automotive
15 Marzo 2025 - 17:50
Fiat, Alfa Romeo, Lancia, Abarth, Maserati (tutti sotto la bandiera franco-italiana-americana di Stellantis), Ferrari (sempre degli Agnelli/Elkann), Lamborghini (che è di Volkswagen), Bugatti (che è franco-tedesco-croata), DR (che assembla pezzi cinesi). Sono questi i marchi italiani di automobili, al netto delle piccole realtà come Microlino, oppure delle carrozzerie e dei fabbricanti di prototipi. E basta questo a dimostrare che l'auto italiana, di fatto, non esiste più: esiste l'auto prodotta in Italia. Ma anche questa sta scomparendo. Lo dicono i numeri. Vediamo perché.
Partiamo dai dati dell'Istat e da quelli resi noti ieri dall'Anfia, l'associazione dei fabbricanti di auto, al Tavolo per l'automotive al ministero del Made in Italy. A gennaio sono state prodotte appena 10.800 automobili, un calo del 63,4% rispetto al 2024. E, guardando all'insieme del settore, la produzione dell’industria automotive italiana registra un calo del 25,3% rispetto a gennaio 2024. L’indice della fabbricazione di autoveicoli (codice Ateco 29.1) registra un calo del 37% a gennaio 2025; quello della fabbricazione di carrozzerie per autoveicoli, rimorchi e semirimorchi (codice Ateco 29.2) cresce del 7% nel mese, e quello della fabbricazione di parti e accessori per autoveicoli e loro motori risulta in calo del 15,4%.
Ma è tutto il comparto industriale italiano che sprofonda: l’indice della produzione industriale nel suo complesso, infatti, seppure in recupero rispetto al mese precedente, chiude a -0,6% rispetto a gennaio 2024. Il fatturato dell’industria in senso stretto (escluso il comparto Costruzioni) registra una variazione negativa dell’1,4% a dicembre 2024, ultimo dato disponibile (-1,4% sul mercato interno e -1,3% sui mercati esteri) e chiude l’intero 2024 a -3,4% (-3,8% il mercato interno e -2,6% i mercati esteri).
Parlando di mercato, nel periodo gennaio-novembre 2024 (ultimo dato disponibile), l’export di autoveicoli (autovetture e veicoli industriali nuovi) dall’Italia ha fatto segnare 16,4 miliardi di euro, mentre l’import vale 33,7 miliardi di euro. Ossia le auto che importiamo sono oltre il doppio di quelle che esportiamo. Gli Stati Uniti rappresentano, in valore, il primo Paese di destinazione dell’export di autoveicoli dall’Italia, con una quota del 19%, seguiti da Germania (15,4%) e Francia (11,3%). Sorride solo l’export della componentistica, che vale 23 miliardi di euro, con un saldo positivo di 6,4 miliardi di euro.
In questi dati è fin troppo facile la sovrapposizione con la crisi di Stellantis che, mediamente, nel 2024 ha visto un calo della produzione del 36,8%, con punte come a Mirafiori di quasi il 70% (Fiat 500e e Maserati elettriche). Perché, a dispetto della composizione azionaria, Stellantis è ancora vista come la Fiat degli Agnelli. Ma la sua proprietà è franco-italiana e i suoi mercati globali.
Sono fabbricate in Italia vetture Fiat (oltre alla 500 a Torino c'è la Panda a Pomigliano), Alfa Romeo (a Cassino), le poche Maserati, Jeep e Dodge. Mentre Fiat 600, Jeep Avenger e Lancia Ypsilon sono fabbricate in Polonia e Spagna. La Grande Panda nascerà in Serbia.
In Italia c'è Ferrari, che ha la Exor degli Elkann come principale azionista ma è stata scorporata dall'ex Fiat anni fa. I suoi dati finanziari sono da record, ma è ovvio che la sua produzione non sia da grandi numeri. Così come quella di Lamborghini, sempre con indici in crescita, ma che di italiano ha la sede nella Motor Valley mentre la proprietà è interamente tedesca, con Volkswagen (che possiede anche la motociclistica Ducati).
Bugatti, marchio di superlusso di radice italiana, è francese come sede. Ma la sua proprietà è divisa fra il gruppo Volkswagen e la Bugatti Rimac, ossia la joint venture fra la croata Rimac e la tedesca Porsche (di Volkswagen).
Di italiano, dunque, c'è la DR Automobiles con sede in Molise, con fatturato sempre più vicino al miliardo di euro. Ma che deve fare attenzione a fregiarsi del Made in Italy (ha già avuto ammonimenti e sanzioni in tal senso), in quanto a Macchia di Isernia escono sì vetture con il marchio DR, ma si tratta di riassemblaggi di veicoli di vari produttori cinesi (i motori sono di Chery).
Quegli stessi che il piano da un milione di auto del ministro Adolfo Urso - frutto di una "intesa" con l'allora ceo di Stellantis, Carlos Tavares - prevedeva di portare in Italia. Per mesi ha parlato di interlocuzioni bene avviate e di accordi quasi raggiunti. Sono state offerte condizioni di favore, ma quelle sfavorevoli - costo del lavoro, dell'energia - hanno prevalso: i cinesi sono venuti, hanno osservato, poi sono andati a produrre in Ungheria e Turchia (vedi BYD), salvo offrire contratti di fornitura alla filiera dell'indotto italiana.
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