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Il Borghese
28 Agosto 2025 - 06:30
«L’automotive è certamente un’eccellenza a cui non si può né si deve rinunciare». Monsignor Cesare Nosiglia, già arcivescovo di Torino, deceduto ieri, lo diceva nel lontano 2012: all’epoca c’era ancora la Fiat e John Elkann in persona, al telefono, lo aveva rassicurato dicendo «non abbandoneremo Torino». Monsignor Nosiglia aveva a cuore i temi del lavoro, ma sapeva anche cosa facevano i mercati. Per lui era stata «inumana» la vicenda dell’ex Embraco, degli «operai traditi». Era il vescovo vicino agli operai, cardinale “in pectore” perché con il suo predecessore ancora vivo e residente qui non poteva salire alla Cattedra di San Massimo e perché Francesco gli aveva chiesto un “sacrificio”, per preparare il prossimo porporato.
Nosiglia aveva a cuore i temi del lavoro, ma vedeva nell’addio all’industria tradizionale una pesante responsabilità della politica, di una «Torino divisa». Non era il Robin Hood in clergyman che tuona contro i capitalisti, nella fattispecie gli Agnelli/Elkann. Non era magari neppure Padre Pellegrino che con Fiat si scontrava, o il cardinal Ballestrero, non erano (e non sono) neppure i tempi in cui l’Arcidiocesi veniva a patti con il Lingotto per dare una casa o un lavoro ai preti sposati e sospesi a divinis.
In tempi più recenti, ha sorpreso (positivamente) il cardinale Repole che tuonava contro Elkann e l’allora ceo Tavares, che si presentava addirittura alla festa della Fiom, pretendendo un incontro con gli eredi degli Agnelli. Incontro che avviene poi a Mirafiori, un tour delle linee che (ovviamente) affascina e convince Repole che Stellantis l’impegno ce lo sta mettendo, eccome. Senza porsi, almeno pubblicamente, la domanda fatidica: basterà? il mercato come risponderà? Anche lui, al pari di tanti politici, si dice certo che Torino farà la sua parte. Ancora?
Per molti la trasformazione dell’industria torinese è solo un lungo funerale. E i preti (pure se vescovi) alla fine cosa fanno? Benedicono la cassa. Integrazione.
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