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IL FUTURO DEL TURISMO

Ecco la mappa delle funivie abbandonate: almeno una in ogni valle torinese. «Lo sci non ha futuro»

Il rapporto di Legambiente: il cambiamento climatico rende impossibile sostenere gli impianti. Ogni anno spesi 16 milioni di euro pubblici per l'innevamento

L’impianto di Beaulard, frazione di Oulx, è uno di quelli abbandonati

L’impianto di Beaulard, frazione di Oulx, è uno di quelli abbandonati

Stazioni di partenza e arrivo diroccate, scheletri di tralicci, i cavi un lontano ricordo. Un triste spettacolo che rovina il panorama di troppe nostre montagne e che purtroppo rischia, con il passare del tempo, di divenire sempre più comune.

L’allarme arriva da Legambiente che ha diffuso il rapporto “Nevediversa 2024” nel quale si analizza la situazione degli impianti sciistici italiani e quali sono le prospettive future di un settore destinato, volente o nolente, a fare i conti negli anni a venire con il sempre più evidente cambiamento climatico che porta, da un lato, a inverni sempre più caldi e, dall’altro, a nevicate - come quelle della scorsa settimana - magari abbondanti ma in periodi differenti da quelli più consoni al turismo invernale: ormai sulle nostre Alpi è più probabile avere la neve a marzo che a Natale.

Legambiente quindi mette in guardia: il rischio di spendere fondi, anche ingenti, per mantenere in vita impianti che ormai non sono più sostenibili è alto. E la prova è in quelli, numerosissimi, che già sono stati abbandonati: 260 in tutta Italia, di cui 176 sulle Alpi e 84 sugli Appennini. Una triste fine che accomuna anche molti impianti torinesi: la mappa stilata da Legambiente comprende funivie e seggiovie lasciate al proprio destino da Oulx a Bardonecchia, da Giaveno a Viù, da Torre Pellice a Traversella.

14 località differenti - alcune con più di un impianto - sparse praticamente in tutte le valli della provincia che, ogni anno che passa, rischiano di aumentare. A livello nazionale, infatti, ci sono altri 177 impianti temporaneamente chiusi, 93 aperti a singhiozzo e 241 sottoposti al cosiddetto “accanimento terapeutico”, cioè che sopravvivono solo con forti iniezioni di denaro pubblico. Esempi non ne mancano neanche da noi. Uno per tutti, il Frais a Chiomonte: ufficialmente ancora operativo ma in realtà chiuso da anni perché al centro di una lunga battaglia legale.

Il Piemonte, secondo Legambiente, è un “osservato speciale”: «Stando ai dati di Arpa Piemonte - si sottolinea nel rapporto - il trimestre appena terminato è stato l’inverno più caldo degli ultimi 70 anni. Nonostante ciò, i fondi erogati per l’innevamento artificiale ammontano a 32.339.873 di euro per il biennio 2023-2025 (contro i 29.044.956 di euro del biennio 2022-2024)». La soluzione? In realtà non esiste, l’unica cosa che si può fare - suggerisce Legambiente - è cominciare a guardare oltre. «Il turismo montano - è l’opinione di Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente - deve avere il coraggio di andare oltre la neve sempre più rara e cara. È fondamentale che si avvii un cambio di rotta e una conversione verso un modello di turismo montano invernale più sostenibile in grado di andare oltre la monocultura dello sci in pista, tutelando al tempo stesso le comunità locali e chi usufruisce a livello turistico della montagna». «Da parte nostra - commenta Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente - non c’è alcuna contestazione nei confronti degli operatori del settore, ma più un’obiezione contro la resistenza al cambiamento. Come per altre industrie del secolo scorso occorre avviare un processo di transizione trasformando e diversificando, puntando ad un turismo sostenibile e dolce che rappresenta il futuro della nostra montagna».

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