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Il caso
05 Novembre 2024 - 08:00
Foto scattata da cittadini santenesi durante l'alluvione del 1994
Un piemontese su 20 è a rischio alluvione: per la precisione, circa 214mila abitanti, con 65mila in “pericolosità elevata”. E la popolazione a rischio a frane è di circa 86mila abitanti, di cui 37mila interessati da pericolosità molto elevata.
Sono i numeri emersi ieri, al convegno organizzato dall’Ordine dei Geologi del Piemonte nell’auditorium della Città Metropolitana, in occasione dei trent’anni dall’alluvione che, nel 1994, devastò il Piemonte. Alla conferenza erano presenti, oltre al presidente dell’Ordine dei geologi del Piemonte, Ugo De La Pierre, l’assessore regionale alla Protezione Civile, Marco Gabusi, il vicesindaco metropolitana Jacopo Suppo, l’assessore comunale Francesco Tresso e Secondo Barbero, presidente di Arpa Piemonte.
In un momento particolarmente critico in Italia e all’estero, con il tragico esempio delle inondazioni di Valencia, l’aumento delle precipitazioni, con livelli di pioggia tra i più alti da metà ‘900, riporta alla luce criticità che, forse, qualcuno, pensava superate. Un’altra questione aperta è quella dell’aumento di consumo del suolo, che, anche nella nostra regione, si mantiene elevato: il suolo consumato nel 2021 è stato il 6,7% del totale e l’incremento netto tra il 2021 e il 2022 è stato di 617 ettari.
L’analisi degli eventi legati all’alluvione del 1994, che ha colpito circa un terzo del territorio regionale, con un’area di 7.500 chilometri ed un totale di 750 comuni colpiti, di cui 197 in modo grave, ha rappresentato un punto di svolta nella gestione del rischio idrogeologico su diversi ambiti: sul piano operativo, è stata il primo vero banco di prova delle funzionalità del monitoraggio, finalizzato alle azioni di protezione civile, che ha permesso di prevedere l’evento estremo con 72 ore di anticipo; sul piano della consapevolezza delle pubbliche amministrazioni, che hanno iniziato a dotarsi, da quel momento, di adeguati studi geologici che potessero indirizzare le scelte urbanistiche, per cercare di preservare l’equilibrio idrogeologico ed arginare i rischi.
Nell’occasione, De La Pierre ha lanciato un grido d’allarme: «Siamo preoccupati per come continuano ad essere gestite concretamente le politiche territoriali nell’ambito dell’assetto idrogeologico». Ha poi sottolineato quanto sia fondamentale «razionalizzare le procedure amministrative, che rappresentano una vera e propria palla al piede per la realizzazione degli interventi sul territorio».
Il confronto fra gli eventi passati e presenti, con un bilancio non particolarmente confortante, nonostante le risorse investite dalla regione dagli anni 2000 ad oggi, evidenzia quanto sia necessaria una nuova normativa in materia di rischio idrogeologico, che si concentri sul contenimento del consumo del suolo, sulla rigenerazione urbana e territoriale, sullo sviluppo dei territori periferici e montani e sul miglioramento della sicurezza della popolazione esposta ai fattori di rischio e alle vulnerabilità del territorio.
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