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12 Giugno 2025 - 06:46
TE Connectivity, fine delle speranze. Addio all’azienda che conquistò la luna
Addio alle ultime (poche) speranze di salvare TE Connectivity e i suoi 224 dipendenti.
Ieri la dirigenza dell’azienda «ha formalizzato il disinteresse di quest’ultima a incontrare la Regione - spiegano da Fim e Fiom - a causa della situazione geopolitica globale, tra cui i dazi americani. Con profondo sconforto si ufficializza la mancata reindustrializzazione». La multinazionale ha deciso di delocalizzare tutte le attività produttive del sito di Collegno verso Usa, Cina e altri Paesi, «per una mera logica di profitto - attaccano i sindacati - e la decisione di non aggiornare parco macchine, processi e prodotti, portando al conseguente licenziamento di 224 dipendenti». Resta quindi solo la corsa contro il tempo per inserire nei programmi di formazione regionale tutto i dipendenti ad oggi ancora presenti in azienda.
Amarezza non solo per la sorte degli operai ma anche per la chiusura di un’azienda storica, e per una volta non è solo un modo di dire: «Chiude per sempre un sito capace di produrre connettori elettrici per un’ampia gamma di destinazioni industriali, un sito che ha fatto storia con i cablaggi costruiti per l’Apollo 11 - ricorda infatti Diego Spinazzola, FIM Torino -. Perdiamo un polo di competenze manuali e tecniche che avrebbe dovuto essere il fulcro attrattivo per altre aziende nelle dichiarate intenzioni della multinazionale uscente. La scelta di affidare la reindustrializzazione a società private e non gestite dal pubblico, quali possano essere le Istituzioni, si è rivelata fallimentare». Amarezza anche per Giorgia Perrone, Fiom Torino: «Continua con la Te Connectivity lo smantellamento del tessuto industriale piemontese senza che venga approntato un piano industriale ed energetico che fermi l’emorragia di posti di lavoro. I lavoratori della TE e le loro famiglie contribuiranno alla composizione del triste mosaico di un territorio già lacerato da chiusure aziendali, licenziamenti collettivi, dalle richieste di ore di cassa integrazione tra le più alte in Italia, dalla preponderanza di contratti precari e lavoro povero».
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