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il colloquio
07 Settembre 2025 - 06:30
A sinistra, Luca Milione, gestore del Don Ciccio. A destra, Mara Favro
«Lo stress ormai mi sta uccidendo». Vincenzo “Luca” Milione, continua a vivere sotto l’ombra pesante dell’accusa più grave. È ancora, formalmente, indagato per l’omicidio di Mara Favro, la donna di 51 anni scomparsa la notte tra il 7 e l’8 marzo 2024 e ritrovata senza vita un anno esatto dopo la sparizione. Mara, che abitava a Susa in corso Inghilterra, aveva lavorato da Milione, alla pizzeria-ristorante “Don Ciccio” di Chiomonte, nei suoi ultimi giorni prima di svanire nel nulla. «La gente pensa ancora che sia stato io», racconta oggi Milione, con una voce che tradisce stanchezza e amarezza. «C’è chi fa le battute, dicendo che l’ho messa in forno. A Susa gira voce che sono “l’omicida perfetto”. Mi vedono come un mostro». La vita di Milione si è sgretolata, pezzo dopo pezzo. Il lavoro è quasi sparito, le entrate del locale pure. «Prima con la pizzeria incassavo mille euro ad ogni serata. Adesso, se tocco i cento euro, è oro». Poi, l’ammissione: «Dovrò lasciare il “Don Ciccio”. Ma il costo più grande è stato perdere la mia famiglia. E molte persone che credevo fossero amiche». Sulla vicenda di Mara Favro, Milione ha un pensiero netto: «La giustizia deve esserci. Per me, perché le mie figlie hanno diritto a sapere che il loro papà non è un assassino. E per Mara, che non ha avuto né un corpo da seppellire subito, né un nome per chi l’ha uccisa».
Milione anche criticato, con parole dure, l’ipocrisia che si è creata attorno al funerale della donna, svoltosi nella mattinata di ieri a Susa, presso la cattedrale di San Giusto: «Quando era in vita - così Milione - Mara era molto sola, aveva poche persone vicino a lei. Al funerale, invece, c’era tantissima gente». Milione, comunque, ha diffuso pubblicamente un messaggio di condoglianze sui social alla famiglia di Mara Favro. Ma sente di vivere sotto un’etichetta indelebile. «Tutti quanti sono convinti che io sia il suo assassino. Ma se lo fossi, a quest’ora sarei già richiuso in un carcere. Un giornalista mi ha detto che sono fortunato, perché le indagini sono partite tardi. Io invece sostengo il contrario: se fossero iniziate subito, oggi non mi troverei in questa condizione». “Luca” Milione è solo. O quasi. «Mi tiene in piedi solo la voglia di giustizia. Questa storia mi ha segnato per sempre. Ero una persona abituata agli applausi, agli encomi. Adesso invece non sono più nessuno».
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