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Salute

Innovazione e ricerca clinica: l'Asl Città di Torino all'avanguardia

L'Asl Città di Torino esplora nuove frontiere nella diagnosi e terapia delle malattie autoimmuni e rare

La grande fuga dei cervelli: il caso Torino tra Università e Politecnico

Ricercatori

L'Asl Città di Torino emerge come guida al progresso, grazie a progetti di ricerca che mirano a migliorare la vita dei pazienti con condizioni cliniche gravi o non riconducibili ai criteri tradizionali.

Nel vasto panorama delle malattie autoimmuni, la vasculite crioglobulinemica rappresenta una sfida significativa. Recentemente, un team di ricercatori dell'Asl Città di Torino ha identificato una possibile nuova malattia: l'ipocrioglobulinemia. Questa condizione si distingue per livelli estremamente bassi di crioglobuline, proteine che, in condizioni normali, non dovrebbero causare problemi. Tuttavia, nei 237 pazienti studiati tra il 2008 e il 2021, la maggior parte non presentava i marker tradizionali come l'HCV o l'ipocomplementemia, ma mostrava sintomi clinici e caratteristiche istologiche simili alla crioglobulinemia mista. La scoperta di questa nuova sindrome è stata rafforzata dalla risposta positiva alla terapia con anticorpi monoclonali anti-CD20, suggerendo che l'ipocrioglobulinemia potrebbe essere una condizione clinica specifica. Questo risultato apre nuove strade per la diagnosi e il trattamento, grazie a tecniche di laboratorio più sensibili che potrebbero identificare precocemente questa patologia.



Sempre nell'ambito delle patologie autoimmuni sistemiche, un altro studio condotto dall'Asl Città di Torino ha valutato l'efficacia di un protocollo intensivo per ridurre il numero di linfociti nel sangue nei casi più gravi di vasculite anca-associata. Questa condizione è spesso caratterizzata da un'estesa compromissione renale e polmonare, rendendo la gestione clinica particolarmente complessa. I risultati sono stati sorprendenti: il 93% dei pazienti ha raggiunto la remissione clinica, con un tasso di recupero della funzione renale del 60% anche nei pazienti inizialmente in dialisi. Questo protocollo ha permesso di ridurre drasticamente la dose cumulativa di ciclofosfamide, minimizzando così i rischi legati alla tossicità. Un approccio che migliora la qualità della vita dei pazienti e riduce la necessità di terapie immunosoppressive a lungo termine.

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