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IL COLLEZIONISTA FOLLE

Ritrovata a Torino una scultura di Gauguin

Una scoperta incredibile: la scultura il “Mostro di Oviri” spunta al Balon grazie a un’apparizione misteriosa. La città trema di stupore

Ritrovata a Torino una scultura di Gauguin

A sinistra, uno degli autoritratti di Gauguin, a destra una delle sue sculture?

PROLOGO
Il Collezionista Folle questa volta non può attribuirsi tutto il merito. Non è stato il suo occhio clinico, né la sua leggendaria caparbietà, a condurlo al ritrovamento di una scultura di Paul Gauguin. Anzi, lo confessiamo: stava attraversando una giornata storta, di quelle in cui anche i rigattieri del Balon di Torino sembrano saperla lunga e ti rifilano solo ferrivecchi. Poi, all’improvviso, un’apparizione. Non un collezionista rivale, ma l’ectoplasma elegante e discreto del compianto Gustavo Rol, il sensitivo torinese capace di apparire quando meno te lo aspetti e con il profumo di viole a fare da biglietto da visita. Con la sua solita gentilezza, Rol non si è limitato a un cenno di incoraggiamento: ha indicato con il bastone un pezzo di legno infangato che rischiava di passare inosservato. E lì, proprio lì, si celava l’opera di Gauguin. Una scena a metà tra l’avventura e la seduta spiritica, che conferma quanto sia imprevedibile la vita del nostro eroe. Talvolta basta un colpo di fortuna, altre volte l’aiuto di un’anima buona, per trasformare una giornata buia in un nuovo, sorprendente capitolo della sua collezione.

IL MOSTRO DI OVIRI
L’asta dei beni di Paul Gauguin era quasi al termine. Nella capanna a due piani dell’artista vi erano stati trovati gli oggetti essenziali e necessari ad un campeggiatore odierno. Le suppellettili, benché usate, erano state assegnate agli indigeni che avevano tenuta pulita la capanna durante il periodo del suo ricovero all’ospedale. Il battitore dell’asta aveva privilegiato i notabili francesi, i soli ad aver mostrato un certo interesse per alcune tele dipinte da Gauguin e rimaste appese ai tramezzi che separavano gli ambienti.

Era appena stato assegnato al dottor Segalen, l’ufficiale medico del bastimento “Durance” che teneva il collegamento con la Francia, un oggetto curioso composto da sette piccole sculture formanti un cerchio vuoto. Il battitore dell’asta l’aveva preso in mano, poi aveva guardato di traverso, infine se lo era appoggiato sul capo come una corona, quando una indigena vestita d’un pareo di colori sgargianti spiegò nella lingua locale che l’oggetto non era una cornice di un dipinto ma era invece la cornice di uno specchio dove tutte le mattine l’artista osservava le proprie tonsille ed un dente molare non fermo e non bianco come quelli degli indigeni. Segalen alzò un braccio e fece il gesto di portarglielo a vedere, quindi appena lo ebbe soppesato se lo infilò al braccio.

“Il dottore mi farà un’offerta anche perché porterà a Parigi gli effetti personali del defunto Signor Gauguin, vero?”.
Segalen annuì col capo. “Allora abbiamo finito?” chiese il battitore dando un calcio ad una radice di fiume che rotolò verso Segalen.

L’oggetto suscitò la curiosità del medico che si affrettò ad esaminarlo: una radice lunga circa 60 cm con una coda a pungiglione lunga altri 20 cm facenti corpo unico, quindi scolpita in modo così preciso ed arrotondato dall’acqua di un torrente dell’isola senza rompersi contro le asperità delle rocce? Cercò sicché di dare una pulita alla radice immergendola in un mastello pieno d’acqua. Segalen immerse la radice tenendola per la protuberanza e, dopo averla rimestata, la estrasse ripulita dal fango secco che la ricopriva.

Ora la radice appariva scolpita con incisioni parallele molto precise che partivano da una parte che sembrava un lungo collo sormontato da una testa provvista di una bocca e di due orecchie. Ma ciò che più sorprese Segalen furono due zampette unghiate poste simmetricamente ai lati del corpo.

La natura non avrebbe prodotto due zampe per semplice erosione dell’acqua. L’oggetto incominciò ad incuriosire anche un corpulento indigeno che aveva voluto aggiudicarsi una delle due paia di occhiali dell’artista, quelli realizzati con un filo di ferro e che avevano una lente rotta. L’indigeno, parlando la lingua francese con inflessione locale, disse di essere il maestro della scuola cattolica dell’isola mentre accarezzava un corno caudale dell’oggetto, spiegando che questo corno fosse una caratteristica di uno degli animali dell’isola.

Un animale primordiale vegetariano che sembrava in via d’estinzione e che avrebbe incuriosito l’artista. “Sarebbe un esemplare da esporre nella libreria della scuola!” esclamò l’indigeno trattenendo in mano l’oggetto.
“Sarebbe un bel cimelio per il dipartimento etnologico del Museo di Parigi!” disse Segalen cercando inutilmente di riprenderselo.

Ca c’est à moi!” gridò l’energumeno facendo un passo indietro. “Non è vero! - tuonò Segalen facendo cenno ai due gendarmi di avvicinarsi. “La radice rotolava verso di me, dopo il calcio del battitore!”.

L’energumeno si rivolse ai presenti: “Signori, questa non è una radice ma è l’anima della Dea Oviri, protettrice della nostra isola, e deve rimanere qui, non altrove!”. Nel frattempo i gendarmi si erano affiancati al maestro dell’isola.

A questo punto intervenne il battitore dell’asta che era la massima autorità del luogo: “Lasciamo decidere al dottore Segalen se lasciare il Mostro di Oviri ai nostri ragazzi dell’isola o se voglia portarlo a Parigi a ricordo della permanenza del Signor Gauguin presso la nostra bella isola dell’arcipelago della Polinesia”.

Il silenzio incombette sulla piccola piazza. Si udiva il respiro irritato del maestro che aveva consegnato il mostro al battitore. Segalen nella sua sdrucida divisa da militare fece due passi verso il battitore, alzò lo sguardo verso la bandiera francese che garriva al vento, batté i tacchi dei suoi stivali neri e gonfiando il petto quasi urlò: “Vive la France! La pièce c’est à moi”. Un brusio si levò dai presenti. Qualcuno gridò: “Merde!”.

Il maestro guardò cupo Segalen che prendeva sottobraccio la scultura di Gauguin. Non appena gli fu distante quanto basta, gli gridò: “À tà gole …” L’ultimo epiteto gli morì in gola.

Trascorsero molti anni e il Mostro di Oviri ricomparve a Torino al mercato delle pulci del Balon. Quel giorno ero triste e camminando in mezzo alle cianfrusaglie dei rigattieri, cedetti il passo a un signore distinto dagli occhi blu che, dopo avermi sorriso, col bastone da passeggio indicò ai miei piedi una radice di legno sporca di fango che non avevo visto. “Stia attento, rischia di inciamparsi…” mi disse: “La osservi bene, viene da lontano…”. Mentre mi inchinavo per guardarla meglio, il distinto Signore scomparve. Mi parve d’avvertire un profumo di viola nell’aria… mi balenò l’idea che fosse il Dr. Rol e decisi di comprare ciò che sembrava essere una radice.

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