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Rubrica Road to the Oscars 2025
11 Febbraio 2025 - 17:00
Un film intellettualmente stimolante, è il primo pensiero che si ha dall'uscire dalla sala dopo aver guardato "The Brutalist" di Brady Corbet, candidato all'Oscar in ben 10 nomination tra cui Miglior Film, Miglior Regista e Miglior Attore Protagonista.
László Tóth, ebreo ungherese, sopravvissuto alla Shoah, nel 1947 emigra negli Stati Uniti, trasferendosi a Philadelphia dal cugino Attila e sua moglie Audrey. Tóth, rinomato architetto laureato al Bauhaus, lavora con il cugino realizzando una libreria nella casa di un uomo d'affari su commissione del figlio. Ma il lavoro fatto non sorprende Harrison, il magnate che porta Attila a cacciare László e lasciarlo in un rifugio per senzatetto. Anni dopo, Harrison lo ricontatta per costruire un centro in onore della madre scomparsa e lo fa aiutandolo a reincontrarsi con la moglie Erzsébet, anche lei sopravvissuta all'Olocausto insieme alla nipote orfana Zsófia. László lavora con Harrison nella costruzione ma nascono dei problemi sia professionali che personali che porteranno László a prendere delle decisioni che rivoluzioneranno la sua vita e la sua arte brutalista.
Descrivere questo film necessiterebbe di una tesi di laurea per la sua ricchezza di dettagli: dalla regia di Corbet alle note imponenti della colonna sonora di Daniel Blumberg, dall'uso controverso dell'Intelligenza Artificiale per rendere più fluenti le battute in ungherese degli attori alla pausa di 15 minuti a un'ora e 40 dall'inizio del film fino alle polemiche degli architetti che hanno bocciato il film. Quello che si può dire, in poche righe, è che "The Brutalist" è una storia complessa su come l'essere umano si riprende dai traumi della guerra e di come sia difficile reintegrarsi in una società che ancora è sconvolta dalla tragedia che ha portato. Il prologo, che inizia con questa sequenza in cui László vede la statua della libertà, dovrebbe significare l'inizio della realizzazione del sogno americano per l'architetto sopravvissuto, ma Corbet voleva che lo spettatore entrasse nella sala senza sapere troppi dettagli sulla trama, in modo da assimilare ogni cosa della storia.
C'è una frase che Harrison (interpretato da Guy Pearce) dice a László quando quest'ultimo accetta l'offerta di costruire per lui l'Istituto: "i sogni scivolano via". Nel contesto, lo diceva dopo essersi svegliato da un sogno che aveva fatto e che non voleva dimenticare, ma ripensando all'intero film, è uno dei messaggi centrali. Il sogno di László, quello promosso dalla stessa America che prometteva di realizzare ogni ambizione dei suoi abitanti e di chi viene ad abitarla dall'estero, non viene realizzato: arriva a New York pensando di essere in salvo dall'Europa ma l'accoglienza di Attila finisce dopo poco tempo dopo essere stato umiliato davanti al magnate. La sua stessa famiglia, che si è americanizzata cambiando pure il proprio cognome, lo abbandona e lo fa pure Harrison che, nonostante lo avesse coinvolto nel progetto, ha violato la fiducia che László aveva riposto in lui, fisicamente compreso.
È un film complesso ma allo stesso tempo grezzo, come l'arte brutalista: predilige un'estetica spoglia e affronta le problematiche sociali e funzionali, come l'edificio incompiuto di László, che si scoprirà solo alla fine del film, che è un mix tra i campi di concentramento di Buchenwald (dov'era internato l'architetto) e Dachau (dove teneva prigioniere Erzsébet e Zsófia), segno anche dell'amore indissolubile che l'uomo prova per la moglie. È un film che stimola la mente nella sua totalità, dov'è importante mantenere salda l'attenzione perché ogni dettaglio potrebbe essere cruciale ai fini della trama.
"The Brutalist di Brady Corbet è la storia di un viaggio, della realizzazione che il sogno americano non è altro che un'illusione, dove l'arte smaschera la falsità della politica e mette di fronte agli americani la verità di una tragedia che vive in László e che tormenterà le terre di quello stesso sogno che non tornerà più.
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