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IL COLLEZIONISTA FOLLE

Quel Delaunay a casa di Armando Testa e ritrovato da un rigattiere (grazie a Rol?)

Una veduta di Manhattan che mi colpì a 17 anni e ritrovata quarant'anni dopo

Quel Delaunay a casa di Armando Testa e ritrovato da un rigattiere (grazie a Rol?)

PROLOGO 


C’è chi colleziona francobolli, chi monete, chi cimeli improbabili (avete mai sentito parlare di quelli che collezionano cartelli di uscita di emergenza?). E poi c’è lui, il Collezionista Folle , che non si accontenta di accumulare oggetti, ma pare avere una calamita per il destino, attirando a sé opere d’arte che sfidano il tempo e le coincidenze.
Prendiamo la storia di oggi: un quadro di Robert Delaunay, un incontro col celebre pubblicitario torinese Armando Testa, un doposcuola tra creativi e una porta invisibile che si apre al momento giusto. Sembra l’inizio di un film d’autore, e invece è solo un’altra giornata nell’avventurosa vita del nostro eroe. Perché il Collezionista Folle non si limita a raccogliere pezzi d’arte, ma imbastisce trame da romanzo, in cui il caso e la memoria giocano a rimpiattino.
E mentre noi comuni mortali perdiamo le chiavi di casa, lui ritrova un dipinto dimenticato per decenni. Solo fortuna? O c’è lo zampino di qualche entità superiore, magari un Armando Testa dall’aldilà, sempre pronto a lanciare battute in piemontese con il suo inconfondibile umorismo?
Scopriamolo insieme, tra aneddoti e intuizioni, con la consueta dose di ironia e meraviglia.

ARMANDO TESTA ME LO DISSE

Ma non capii … sì, ero troppo giovane a 17 anni quando mi recai a casa di Armando Testa. Fui accolto in una sala senza porte (erano a scomparsa) con una gran vetrata su un prato in salita (la collina a monte era ripida) tanto da sembrare inclinata. Su una parete della sala tinta di “bianco di Francia” stava appeso un grande dipinto formato da due pannelli di tot. cm 180x140, (ciascuno di cm 90x140, lo so perché mezzo secolo dopo li ritrovai ed acquistai da un Brocante), con soggetto la veduta di Manhattan, New York.

Mi fermai ad ammirarlo, ne ero estasiato. Alle mie spalle si aprì una porta invisibile ed entrò il pubblicista Armando Testa che vedendomi incantato e fermo ad osservare il quadro, mi apostrofò: «Ehi gorba, ts’es endurmìe?» («ehi ragazzino, ti sei addormentato?»). Io non mi scomposi e risposi: «Ai creidia d’ese a Turin boia faus, ai manca d’ese en America» («credevo d’essere a Torino, boia falso, ci manca d’essere in America»).

Armando Testa

Armando fu sorpreso e mi disse: «A l’è en quader d’un pitur ch’as ciama Deloné, te l’as bin capì?» («è un quadro d’un pittore che si chiama Delaunay, l’hai ben capito?). Non l’ho dimenticato e lo riconobbi.

Robert Delaunay, partecipò al movimento orfista, riconoscibile per la immaginativa prospettica spesso interpretata con giochi di parole, calambour vocali messi in immagine. Grazie Armando, mi fosti Maestro e passai il mio doposcuola nel pianerottolo del tuo ufficio dove facesti mettere una scrivania con una piccola pianta grassa. Arrivata l’estate mi lasciasti andare in vacanza come una rondine che torna al nido.

Autoritratto di Robert Delaunay

Dopo quarant’anni ritrovai il dipinto e cercai di ricostruirne la provenienza e mi dissero che il pittore avrebbe copiato una foto degli anni 40 del panorama di Manhattan scattata dal “flat” di Peggy Guggenheim, mecenate fondatrice del suo Museo di Venezia. L’avvento della guerra mondiale e la sopravvenuta morte del pittore, non consentì la consegna dell’opera alla committente. Sua moglie Sonia si trasferì a Torino per disegnare tessuti francesi per il GFT, il gruppo finanziario tessile di corso Emilia, dove conobbe Armando Testa che aveva disegnato la pubblicità degli abiti confezionati “Facis” portati sottobraccio, come un piatto manichino, da un uomo sorridente: «È facile con Facis!».

Fu facile per Armando aiutare la vedova acquistandole il quadro. Perché l’abbia trovato proprio io? Grazie ad Armando defunto, generoso nel dare un segno di sé, o di Gustavo Rol? …ma questa è un’altra possibile storia.

La riproduzione del dipinto spero che aiuti a ricordarlo a chi lo avesse dimenticato per distrazione o per non avergli dato peso, non essendo firmato dall’autore. Se mi giungesse una conferma di non essermi sbagliato e se un Museo fosse interessato ad esporlo ne sarei anch’io felice.

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