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LAVORO & SOCIETà

Italia, più lavoro ma più povertà: il dramma dei "working poor"

Oltre 8,5 milioni di italiani con un lavoro non riescono a vivere dignitosamente. Tra stipendi bassi e precarietà, si sopravvive

Italia, più lavoro ma più povertà: il dramma dei "working poor"

Immagine di repertorio

La disoccupazione cala, ma la povertà non se ne va. Anzi, cresce proprio tra chi un impiego ce l’ha. È il volto contraddittorio dell’Italia di oggi: meno persone senza lavoro, ma quasi sette milioni di cittadini che, pur avendo una busta paga, non riescono ad arrivare a fine mese.

Secondo uno studio di Unimpresa, i disoccupati sono scesi del 17% rispetto al 2023, passando da 1 milione e 947mila a 1 milione e 664mila. Un dato che, letto da solo, potrebbe far pensare a un miglioramento. Ma a smentire l’ottimismo ci pensa un altro numero: quello dei working poor, i lavoratori poveri, saliti a 6 milioni e 886mila. In un solo anno, 285mila persone in più si sono ritrovate nella condizione di lavorare senza riuscire a garantirsi una vita dignitosa.

A incidere maggiormente è la crescita dei contratti a termine a tempo pieno, aumentati del 20,9%. Segnano invece il passo i part-time a termine (-20,1%) e i contratti a tempo indeterminato ma con orario ridotto non per scelta, bensì per necessità (-4,9%).

Il risultato è un mercato del lavoro sempre più frammentato e fragile. Dove l’occupazione cresce, ma senza offrire garanzie. Oggi la "platea del disagio"– che comprende disoccupati, precari e sottoccupati – supera gli 8,5 milioni di persone, circa il 15% della popolazione italiana. Una massa silenziosa, invisibile, che lavora ma resta ai margini.

Tra le cause principali: salari fermi, contratti instabili, sottoccupazione diffusa e un part-time involontario che pesa soprattutto sulle donne. La conseguenza è una società dove sempre più famiglie fanno fatica a coprire le spese quotidiane, tra bollette, affitti e spese impreviste.

«La fotografia che emerge è quella di un’Italia che si muove, ma resta ferma: meno disoccupati, più contratti, ma nessun passo avanti reale nella riduzione della povertà. È una fragilità strutturale», afferma Paolo Longobardi, presidente onorario di Unimpresa, in un commento riportato da La Nuova Padania. «Il rischio è che le riforme del lavoro e gli incentivi all’occupazione non bastino, se non si affronta con decisione il nodo dei salari bassi – da migliorare con un aumento della produttività delle imprese e una forte riduzione della pressione fiscale – della precarietà e della mancanza di protezione per milioni di lavoratori invisibili».

Il punto è semplice: avere un lavoro oggi non basta più per vivere con dignità. Se gli stipendi restano bassi e i contratti instabili, non si costruisce futuro, si sopravvive. E l’Italia rischia di restare una Repubblica fondata sul lavoro… povero.

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