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Amore & social
03 Aprile 2025 - 23:30
C'era una volta l'amore ai tempi delle lettere, delle telefonate interminabili e dei primi appuntamenti al bar del paese. Oggi, invece, l'amore si cerca tra un like e un cuoricino, tra un match e uno swipe mancato, con l'energia di chi prova a trovare l'anima gemella tra una call di lavoro e il recap della serie Netflix. Ma se tutto è così facile e immediato, perché ci sentiamo esausti?
Benvenuti nell’era della dating fatigue, ovvero quella sensazione di stanchezza cronica da appuntamenti, tipica di chi ha scaricato tutte le app di dating almeno tre volte (al giorno), giurando ogni volta che “questa è l’ultima, lo giuro”. Spoiler: non è mai l’ultima.
Secondo una ricerca firmata Forbes Health e OnePoll, il 79% della Gen Z si dichiara emotivamente provato dal mondo degli appuntamenti digitali. E non sorprende. Il panorama è un vero campo minato: FOBO (Fear Of Better Options), ghosting, orbiting e altre simpatiche pratiche relazionali che rendono l’esperienza paragonabile a una corsa a ostacoli... bendati.
Incontrarsi davvero, nella vita vera, diventa così quasi più difficile che vincere al gratta e vinci. E quando finalmente ci si vede dal vivo, ecco che l'alchimia promessa via chat si dissolve al primo “allora, che serie guardi?”. Tutto questo crea un cortocircuito di aspettative, imbarazzi e caffè freddi bevuti per cortesia.
A questo punto, la domanda è lecita: come si sopravvive alla giungla sentimentale 2.0?
Secondo Paul Brunson, esperto di relazioni, il punto di partenza è uno solo: sé stessi. Prendersi una pausa per riflettere su cosa si cerca davvero non è un lusso, ma una necessità. Serve fare ordine, capire quali sono le proprie green flag, ovvero quelle caratteristiche fondamentali che non possono mancare in un partner e magari, già che ci siamo, rinfrescare la bio – no, “amo viaggiare e Netflix” non basta.
Poi c’è lo slow dating, versione sentimentale dello slow food, con pochi match ma buoni, meno chiacchiere e più ascolto, meno frenesia e più presenza. Uscire dalla logica del “tanto c’è sempre qualcun altro” e riscoprire la magia di una conversazione che non finisce con un “ti faccio sapere”.
Un piccolo detox digitale, anche solo per una settimana, può aiutare a riconnettersi con la propria umanità. Uscire, guardare le persone in faccia (incredibile!), farsi presentare da amici comuni come ai tempi del liceo, provare perfino l’ebbrezza di un approccio in libreria o al mercato. Sì, succede ancora. Raramente, ma succede.
A volte sembra che le persone siano la causa principale della nostra fatica, tra silenzi improvvisi, messaggi ambigui e appuntamenti che non decollano. Ma con un po’ di introspezione, una buona dose di autoironia e il coraggio di rallentare, si può provare a cambiare rotta. Magari trasformando quel caos emotivo in uno spazio dove si parla davvero, ci si ascolta sul serio e, chissà, si finisce anche per ridere. In due.
Perché alla fine, stanchi sì… ma soli per forza, no.
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