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Trump & Putin
11 Aprile 2025 - 19:35
“La Russia deve muoversi. Troppe persone stanno morendo, migliaia a settimana in una guerra terribile e senza senso” — così Donald Trump, in un post infuocato su Truth, ha lanciato un ultimatum a Vladimir Putin. L’ex tycoon, tornato alla Casa Bianca con il pugno duro, ha messo il Cremlino con le spalle al muro: entro la fine di aprile, o cessate il fuoco, o nuove sanzioni colpiranno Mosca come un martello sull’incudine.
E non è solo retorica da social. La visita a San Pietroburgo dell’inviato speciale Steve Witkoff ha il sapore della stretta finale: incontro con il negoziatore russo Dmitriev già avvenuto, faccia a faccia con Putin in corso. E sul tavolo non c’è solo la tregua in Ucraina, ma la credibilità di due potenze pronte a tutto per non cedere.
Dietro le quinte, sei round di negoziati in due mesi — sei fallimenti. A Istanbul si è parlato per sei ore, senza produrre nemmeno una bozza di intesa. Intanto sul campo si continua a combattere, con la Russia che, secondo Kiev, attacca con tutte le forze disponibili mentre partecipa ai tavoli diplomatici. Un doppio gioco che non convince nemmeno Washington.
L’Amministrazione Trump ha già pronta la contromossa: sanzioni mirate al petrolio e alla cosiddetta "flotta ombra", usata da Mosca per eludere gli embarghi. Secondo indiscrezioni rilanciate da Axios e Fox, potrebbero arrivare dazi fino al 500% sui Paesi che continuano a comprare greggio russo. Un colpo diretto al cuore dell’economia russa, già provata dalla guerra dei dazi.
A ricordare al mondo chi è la vittima è, ancora una volta, Volodymyr Zelensky. Da Kryvyj Rih, la sua città natale, colpita la scorsa settimana da un attacco russo che ha ucciso 19 persone — tra cui 9 bambini — il presidente ucraino rilancia la richiesta: servono 10 sistemi Patriot subito.
“Il mondo libero li ha. Noi ne abbiamo bisogno. I civili non possono essere lasciati indifesi di fronte a missili balistici.”
Una richiesta che suona come un grido d’aiuto, mentre il fronte occidentale sembra vacillare tra realpolitik e stanchezza diplomatica.
Intanto, dal Cremlino nessuna apertura vera. Dmitri Peskov, portavoce di Putin, non esclude un possibile incontro diretto tra i due presidenti — forse già oggi — ma la linea russa resta rigida, quasi provocatoria.
Il ministro degli Esteri Sergei Lavrov non lascia spazio ai dubbi: “Zelensky odia i russi. Per porre fine alla guerra dovrà accettare la perdita dei territori conquistati.”
In altre parole: più territorio occupiamo, meno Ucraina rimarrà. Una visione che gela ogni prospettiva di dialogo e spinge verso lo scenario che tutti vogliono evitare: una guerra congelata, senza vincitori né pace.
Pasqua era la scadenza immaginata inizialmente da Trump per un’intesa. Ora anche quella speranza si è dissolta. La Casa Bianca non crede più a un accordo entro aprile e teme che anche nei prossimi mesi non si riuscirà a smuovere la posizione di Mosca.
Le fonti citate dal Moscow Times parlano di un Putin incassato tra falchi e massimalismi, determinato a ottenere vantaggi territoriali prima di qualsiasi compromesso.
Trump, però, non è tipo da aspettare invano. L’ultimatum è stato lanciato. Il conto alla rovescia è partito. E mentre il mondo trattiene il respiro, la pace continua a sembrare un miraggio sfocato all’orizzonte.
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