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Meloni-Trump: la sfida dei dazi e del gas. Cosa c'è davvero in gioco alla Casa Bianca

Pressioni Ue, export a rischio e le richieste di Trump su Nato e GNL: ecco perché l’incontro del 17 aprile può cambiare gli equilibri economici e politici tra Italia, USA ed Europa

Meloni-Trump: la sfida dei dazi e del gas. Cosa c'è davvero in gioco alla Casa Bianca

Domani, 17 aprile, la premier sarà alla Casa Bianca con un obiettivo chiaro: disinnescare la mina delle tariffe USA sull’export europeo. Missione difficile, perché dall’altra parte del tavolo siede un Trump più imprevedibile che mai, che una settimana fa ha congelato a sorpresa la valanga di dazi globali per 90 giorni, ma senza rinunciare a usare il bastone ogni volta che l’Europa alza la voce.

Meloni non punta al colpo grosso, ma a creare un clima. Un’aria buona per coltivare, magari, un accordo transatlantico a lungo termine. Il sogno proibito: un nuovo TTIP 2.0. Ma intanto bisogna evitare la tempesta perfetta che minaccia le esportazioni italiane, che con gli USA segnano un surplus di oltre 40 miliardi. E dire che l’Italia non è nemmeno tra i Paesi citati da JD Vance – il vice di Trump – tra quelli “capaci di difendersi da soli”.

Cosa porta in valigia Meloni?

Niente souvenir, ma dossier pesantissimi. Il primo è la difesa: il governo è pronto ad alzare la spesa militare per raggiungere (finalmente) quel 2% del Pil chiesto dalla Nato, magari sbloccando altri 10 miliardi entro l’anno. E se il vertice NATO spingerà la soglia al 3,5%, Roma dovrà raschiare altri 30 miliardi. Difficile, ma non impossibile se si spacchetta il budget tra cybersecurity, intelligence e nuovi armamenti. Anche questo, in fondo, è un modo per parlare la lingua di Trump.

Secondo tema caldo: il gas naturale liquefatto. Dopo l’addio (forzato) al gas russo, l’Italia si muove tra Algeria e Qatar, ma Washington vuole di più: vendere il suo GNL all’Europa. E Meloni potrebbe essere la chiave per riaprire questa porta. Un messaggio chiaro: compriamo americano se voi lasciate respirare le nostre imprese.

Nel grande gioco globale, l’elefante nella stanza è sempre lo stesso: Pechino. Trump alza i muri, Xi Jinping costruisce ponti. E l’Italia cerca di restare sull’asse atlantico, proponendosi come mediatore tra Bruxelles e Washington. Un ruolo difficile, anche perché da Parigi storcono il naso: “Meloni mina l’unità europea andando da sola”, accusano. Ma la Commissione, per ora, la sostiene. Anche perché qualcuno deve pur parlare con Trump.

Con Ursula von der Leyen sempre al telefono, e Confindustria che fa pressing da casa, la premier gioca una partita a scacchi. A ogni mossa americana, un contromossa italiana. Investimenti in USA da parte di Leonardo ed Eni, acquisti di armi, e magari concessioni sul Green Deal – tipo rinviare lo stop alle auto endotermiche. Tutto fa brodo, se serve ad evitare una nuova guerra commerciale.

Il vertice con Trump è solo il primo atto. Il giorno dopo, Meloni tornerà in Italia per accogliere JD Vance, che incontrerà Salvini e Tajani, ma non Mattarella, alle prese con un ricovero per l’impianto di un pacemaker. Poi toccherà al ministro Giorgetti, in partenza per il terzo round a Washington. Una trattativa a tappe, come nei G7 di altri tempi, dove si suda su ogni parola.

Meloni sa di giocare una partita politica e personale: deve portare a casa almeno un segnale, uno spiraglio. Non per vantarsi in conferenza stampa, ma per proteggere il sistema-Italia in un’Europa che barcolla tra crisi, leadership deboli e nuovi equilibri.

E in fondo, come ha detto con una punta d’ironia davanti agli imprenditori: «Non sento alcuna pressione…». Ma la verità è che, tra dazi, gas e diplomazia, questa è una delle partite più delicate della sua carriera. E stavolta non si vince con uno slogan.

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