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Economia & Costume
04 Maggio 2025 - 11:20
Mentre a Roma si prepara il rito del Conclave, e nella provincia italica si consuma la storia-scandalo della bella Badessa e delle suore in fuga, dall'altra parte del mondo c'è una comunità di monache che coltivano cannabis. Un caso di studio per economisti, specialisti di marketing e forse anche autorità religiose. Vediamo di che si tratta.
Si trovano nel cuore della California rurale, a Merced, e tra i campi poco controllati del Messico centrale: un gruppo di donne che sta cambiando le regole del gioco. Le Hermanas del Valle – letteralmente “le Sorelle della Valle” – si vestono come suore medievali ma non appartengono a nessun ordine religioso. Sono imprenditrici, attiviste e coltivatrici di cannabis terapeutica, in un mix, come dicevamo, inedito di marketing, spiritualità e lotta sociale.
Fondate nel 2014 da Sister Kate, al secolo Christine Meeusen, attivista nata dal movimento Occupy Wall Street, le Sisters of the Valley si ispirano alle Beghine, donne libere e indipendenti del Medioevo che vivevano in comunità fuori dal controllo della Chiesa e dello Stato. Come loro, anche le Hermanas rivendicano autonomia: “Non siamo né religiose né streghe, ma sorelle impegnate in un’economia di guarigione”, recita il loro manifesto.
Il loro modello di business è semplice ma potentemente simbolico: coltivano canapa secondo le fasi lunari, producono oli e unguenti certificati, venduti in tutto il mondo tramite e-commerce. Tutto è prodotto a mano, in piccoli lotti, con rituali di meditazione e rispetto per la Terra.
Una ispirazione per Christine Meeusen nata dopo che il medico le prescrisse cannabis per alleviare i problemi di una menopausa precoce. Da qui, l'idea della coltivazione "bio" della canapa fino alla attuale comunità che produce l’olio di CBD, che a differenza del THC non ha effetti psicoattivi.
A prima vista potrebbe sembrare folklore. Ma dietro il velo bianco e nero delle Hermanas si cela un’economia alternativa che sfida i colossi del farmaceutico e il cartello del narcotraffico. In Messico, dove operano dal 2018, le sorelle lavorano nell’ombra per evitare rappresaglie, offrendo un’alternativa concreta al monopolio criminale sulla marijuana.
Ogni flacone venduto è un atto politico, un gesto di disobbedienza civile e insieme un tassello di un’economia femminile, sostenibile e decoloniale, dichiarano. Sul loro sito sono in vendita anche magliette e altri gadget.
A rendere virale la loro immagine – milioni di visualizzazioni su TikTok e Instagram – è l’iconografia religiosa rivisitata in chiave pop. Le Hermanas si fotografano mentre raccolgono infiorescenze, benedicono le piante, impacchettano prodotti con il rosario al collo e una canna in mano.
“Quando ci vedono vestite da suore, la gente ci ascolta”, hanno raccontato in un’intervista a El País. In un Paese profondamente cattolico come il Messico, la provocazione visiva funziona: attira curiosità, genera dibattito, scardina tabù.
Ma non è solo apparenza. Ogni post è accompagnato da messaggi educativi su uso medico della cannabis, diritti delle donne, agricoltura etica. Una comunicazione perfettamente calibrata tra attivismo e branding.
Le Hermanas non sono solo un fenomeno di costume: rappresentano una case history interessante per chi si occupa di microeconomia, sviluppo locale e innovazione sociale. Il loro modello è replicabile, scalabile e in linea con i criteri ESG (Environmental, Social and Governance).
Secondo uno studio pubblicato da Forbes, il mercato dei prodotti CBD a livello globale ha superato i 7 miliardi di dollari nel 2024, con una crescita annua del +15%. Le Hermanas, pur rimanendo una realtà artigianale, intercettano una domanda crescente di prodotti naturali e di senso. In un’economia che cerca nuove narrazioni, la loro spiritualità laica è anche una forma di value proposition.
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