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Curiosità
05 Maggio 2025 - 08:00
Cosa faceva una persona angosciata prima dell’invenzione della psichiatria? Come si curavano – o più spesso si anestetizzavano – l’ansia, la depressione, le nevrosi, quando la mente era ancora un territorio ignoto e il dolore interiore veniva liquidato come isteria o debolezza morale? La risposta si trova nei bicchieri traboccanti di liquori aromatici, nei cucchiaini dosati con tintura d’oppio, nelle pillole pubblicizzate come “soluzioni per donne nervose”.
Molto prima dell’arrivo di antidepressivi e antipsicotici, l’umanità aveva già trovato i propri “psicofarmaci”: sostanze naturali e sintetiche che promettevano sollievo ma spesso trascinavano nell’abisso. Una storia dimenticata, ma essenziale per comprendere come il disagio psichico sia stato trattato – o trascurato – nel tempo.
Il vino dell’anima: il laudano e l’oppio industriale
Il primo “tranquillante di massa” moderno nasce con un alchimista. Nel 1541 Paracelso inventa una miscela di vino e tintura d’oppio che passerà alla storia come laudano. Ma è durante la Rivoluzione industriale che questo sedativo diventa protagonista. Economico, facile da reperire e socialmente accettato, il laudano viene assunto da operai, contadine, intellettuali e persino somministrato ai neonati.
Nell’Inghilterra vittoriana, il “Godfrey's Cordial” era un must per calmare bambini irrequieti o malati. Una generazione intera cresce tra i fumi dell’oppio, che intorpidisce il dolore ma anche il pensiero. Tra gli utenti famosi: Charles Dickens, Elizabeth Barrett Browning e Samuel Taylor Coleridge, il cui genio poetico si intreccia con la dipendenza.
Assenzio: il verde veleno degli artisti
Parigi, fine Ottocento. Caffè fumosi, tavolini affollati e una bottiglia verde. L’assenzio, detto anche “la fata verde”, è il liquore prediletto di pittori, scrittori e bohémien. Inventato dal medico Pierre Ordinaire nel 1792, a base di artemisia, anice e finocchio, l’assenzio promette ispirazione e sollievo. Ma dietro l’estetica decadente si nasconde un potente allucinogeno, accusato di causare crisi epilettiche, psicosi e deterioramento mentale.
Il bevitore di assenzio, simbolo di un’epoca in cui l’arte e la follia camminano fianco a fianco, spesso spinte dallo stesso bicchiere.
Le pillole della felicità domestica
Salto temporale. America, anni Cinquanta. I mariti tornano dalla guerra, le mogli restano a casa, spesso sole, frustrate e insoddisfatte. È il contesto perfetto per il successo del Miltown, il primo ansiolitico da banco a base di meprobamato. Commercializzato dai Wallace Laboratories, viene prescritto alle casalinghe per “nervosismo” o “turbamenti emotivi”. Le pubblicità lo presentano come un alleato della maternità serena, promettendo gravidanza felice e figli tranquilli.
Ma il farmaco è tossico nel latte materno e crea dipendenza. Verrà presto sostituito dalle benzodiazepine: Librium e Valium, destinate a diventare le nuove “pillole della pace”.
La storia di questi “psicofarmaci artigianali” è anche la storia di un mondo che non sapeva – o non voleva – ascoltare il disagio mentale. In assenza di diagnosi, cure o comprensione, si cercava il silenzio del dolore nella nebbia dell’oppio, nell’oblio dell’alcol o nel sollievo effimero di una pillola.
Oggi, con tutti i limiti e le sfide della psichiatria contemporanea, sappiamo almeno chiamare per nome ciò che una volta si seppelliva sotto strati di zucchero e morfina. Ma guardare indietro serve a ricordare quanto sia lunga, e non priva di incubi, la strada per capire la mente.
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