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Animali
12 Maggio 2025 - 23:00
Nel maggio del 1992, una spedizione condotta dal WWF insieme al ministero vietnamita della Selvicoltura documentò per la prima volta l’esistenza del saola, un mammifero tanto elusivo da essere soprannominato "l’unicorno dell’Asia". L’ultimo avvistamento risale al 2013, catturato dall’obiettivo di una fototrappola. Da allora, nessuno può dire con certezza se questa specie abiti ancora le fitte foreste montane al confine tra Laos e Vietnam, il suo habitat esclusivo.
Il saola (Pseudoryx nghetinhensis), appartenente alla famiglia dei bovidi, è un animale dalle sembianze simili a quelle di un’antilope, con una corporatura compatta: raggiunge gli 85 cm al garrese e può pesare tra gli 80 e i 100 kg. La sua testa è ornata da marcature bianche ben visibili e da due corna dritte e appuntite, che possono superare i 50 cm, presenti in entrambi i sessi. Un tempo, questi animali avevano un ruolo nei riti e nell’alimentazione delle popolazioni delle montagne annamite, ma la loro riservatezza e la complessità del territorio rendono estremamente difficile incontrarli o studiarli in natura.
Di recente, un team internazionale di ricercatori ha raggiunto un traguardo significativo: la mappatura completa del genoma del saola. Lo studio, pubblicato sulla rivista Cell, ha preso avvio dall’analisi del DNA recuperato da resti di 26 esemplari – crani, ossa e altri campioni biologici. A questa indagine genetica si è affiancata una ricerca storica e antropologica, con l'esame di testimonianze, documenti e fotografie, incrociati con racconti delle popolazioni locali.
Una delle scoperte principali riguarda l’esistenza di due linee genetiche distinte all'interno della specie. Secondo Genís Garcia Erill, genetista dell’Università di Aarhus, queste differenze risalgono a un periodo compreso tra 5.000 e 20.000 anni fa, probabilmente influenzate da fattori climatici e dall’impatto umano crescente. Tuttavia, la diminuzione della popolazione ha causato un graduale appiattimento delle variazioni genetiche.
La decodifica del genoma apre nuove prospettive per il rilevamento indiretto del saola in natura, ad esempio attraverso l’analisi del DNA ambientale o quello presente nelle sanguisughe che si nutrono del suo sangue. Inoltre, fornisce dati preziosi per eventuali strategie di conservazione o perfino per progetti di de-estinzione, sebbene quest’ultimo sia un tema controverso e carico di interrogativi etici.
Attualmente, l’effettiva sopravvivenza del saola resta un mistero. Nguyen Quoc Dung, dell’Istituto vietnamita per la gestione forestale, ha dichiarato che non esistono prove certe né della sua estinzione, né della sua persistenza. L’ultima stima ufficiale dell’IUCN nel 2015 indicava tra i 50 e i 300 individui adulti rimasti, ma dopo oltre un decennio senza avvistamenti, il peggio è temuto da molti.
Rasmus Heller, ricercatore dell’Università di Copenaghen e coautore dello studio, si dice poco fiducioso sul futuro della specie. Eppure, i modelli suggeriscono che una popolazione minima – anche solo una dozzina di esemplari – potrebbe bastare per avviare un programma di conservazione in cattività, pur con i rischi legati alla riproduzione tra consanguinei.
Il pericolo principale per il saola non è tanto la caccia diretta, quanto la presenza diffusa di trappole nella giungla, installate per catturare altri animali destinati al consumo o alla medicina tradizionale. Questo metodo di bracconaggio, estremamente invasivo, ha colpito duramente anche una specie già vulnerabile e isolata.
Per contrastare il declino, si stanno moltiplicando gli sforzi locali e internazionali. Il Saola Working Group, attivo dal 2006 sotto l’egida dell’IUCN, raccoglie esperti di diverse organizzazioni che collaborano per tutelare la specie. Tra le iniziative più recenti c’è la creazione, da parte del governo vietnamita, di una nuova riserva naturale di oltre 190 km². Inoltre, il WWF ha stanziato fondi per la provincia di Huế, destinati a progetti di ricerca, conservazione e sensibilizzazione.
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