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L’Italia tra i Paesi più corrotti? Ecco il suo posto nella classifica mondiale 2024

Il nostro Paese perde terreno nell'indice CPI. I motivi? Riforme a metà, poca trasparenza e promesse non mantenute

 L’Italia tra i Paesi più corrotti? Ecco il suo posto nella classifica mondiale 2024

C'è una fotografia, impietosa ma necessaria, che ogni anno ci ricorda quanto il nostro Paese faccia fatica a liberarsi da una zavorra storica: la corruzione. L’edizione 2024 dell’Indice di Percezione della Corruzione (CPI), curato da Transparency International, ci posiziona al 52° posto su 180 Paesi a livello globale. Un dato che, oltre a rappresentare una perdita di dieci posizioni rispetto al 2023, segna anche la prima inversione di tendenza dal 2012. Un passo indietro che merita più di una riflessione.

Il CPI non è solo un ranking: è uno specchio. Un indice costruito attraverso 13 fonti indipendenti, che misura la percezione della corruzione nel settore pubblico su una scala da 0 (massima corruzione) a 100 (massima trasparenza). L’Italia si ferma a 54 punti, sotto la media dell’Europa occidentale (64), lontana anni luce da chi guida la classifica – Danimarca, Finlandia, Singapore – e ancora troppo vicina a Paesi dove la corruzione è sistemica.

Negli ultimi dieci anni l’Italia ha intrapreso un percorso normativo che – sulla carta – dovrebbe garantire più trasparenza e legalità: la legge Severino del 2012, le norme sul whistleblowing del 2017 e la trasposizione della direttiva europea nel 2024 ne sono esempi. L’ANAC, l’Autorità Nazionale Anticorruzione, ha costruito un sistema di tracciabilità degli appalti che rappresenta un modello per l’intera regione mediterranea.

Tuttavia, a minare i progressi sono le riforme incompiute. Manca ancora una legge chiara sul lobbying, il conflitto d’interessi è un terreno fragile e spesso ignorato, mentre il registro dei titolari effettivi – strumento fondamentale per il contrasto al riciclaggio – ha subito continui rinvii. Come se la volontà politica si fermasse sempre un passo prima del traguardo.

Parlare di corruzione, nel 2025, non è un esercizio da giuristi o moralisti. È un tema che tocca la quotidianità: blocca la crescita economica, scoraggia gli investimenti esteri, aumenta le disuguaglianze. Dove la corruzione è diffusa, l’accesso ai servizi è più difficile, i costi per i cittadini aumentano, e l’idea stessa di meritocrazia si dissolve.

La lotta alla corruzione non si combatte solo con le leggi. Serve una rivoluzione culturale, che parta dalle scuole, dalle amministrazioni locali, dai comportamenti quotidiani. Serve un senso civico condiviso che riconosca il danno sociale della bustarella come fosse un furto alla collettività. Perché, in fondo, lo è.

In quest’ottica, la proposta di una direttiva europea anticorruzione rappresenta un’occasione storica per rafforzare i presidi etici a livello sovranazionale. Ma l’Italia, per ora, ha espresso parere contrario. Un segnale inquietante, soprattutto se visto in controluce con il peggioramento del punteggio CPI.

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