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Lavoro e Salute Mentale

Cos'è il polygamous working: la nuova frontiera del lavoro o un rischio per la salute?

Non sono freelance né imprenditori, ma dipendenti a tempo pieno che moltiplicano i contratti nell’ombra. Un trend globale che logora mente e identità

Cos'è il polygamous working: la nuova frontiera del lavoro o un rischio per la salute?

Polygamous working: sembra il titolo di una nuova serie distopica, e invece è la realtà sempre più diffusa tra impiegati a tempo pieno che, di nascosto dai loro datori di lavoro, portano avanti due – a volte tre – occupazioni parallele.

Questa volta non si parla di lavoratori freelance che si destreggiano tra commesse diverse e clienti variabili. Qui il focus è un altro: dipendenti con contratto regolare, spesso full time, che lavorano simultaneamente per più aziende, incastrando orari, ruoli e identità professionali come in un tetris infinito. Il tutto, naturalmente, nel massimo riserbo.

Un fenomeno nato in pandemia, cresciuto nel silenzio

Il polygamous working ha messo radici nel 2020, quando il lavoro da remoto e l’incertezza economica portati dal Covid-19 hanno spinto molti lavoratori a cercare soluzioni di sopravvivenza. In molti casi, l’idea era semplice quanto potente: doppio lavoro = doppio stipendio. Reddit, LinkedIn e i forum di settore sono pieni di racconti di chi, grazie al secondo impiego, ha comprato casa, cambiato auto o semplicemente respirato dopo mesi di instabilità.

Ma la regola d’oro è chiara: non parlarne mai. Ufficialmente, questi lavoratori sono ancora fedeli al proprio datore principale. Dietro le quinte, però, gestiscono due account aziendali e si barcamenano tra scadenze parallele. Alcuni lo fanno sfruttando i fusi orari diversi delle aziende per cui lavorano; altri puntano su aziende enormi, dove restare anonimi è più facile. Il tutto, sempre sull’orlo del burnout.

Tra rischi legali e vuoti normativi

In molti Paesi, il polygamous working non è tecnicamente illegale, ma non è nemmeno ben visto. Nel Regno Unito, ad esempio, violare il codice di condotta aziendale può costare il licenziamento immediato. In Italia, la doppia attività è consentita solo in forma part-time e nel rispetto di limiti orari (48 ore settimanali) e clausole di non concorrenza. La trasparenza è richiesta, ma nella pratica è l’elemento più eluso.
Il guadagno è reale, ma anche il rischio: aumentano le imposte, si moltiplicano i doveri, si riduce il margine per il riposo. E, soprattutto, si compromette l’equilibrio psico-fisico.

Il carico mentale invisibile

Avere due lavori non significa solo raddoppiare l’impegno: significa raddoppiare l’ansia, la pressione, la paura di essere scoperti. Gli esperti di salute mentale parlano di un’escalation silenziosa: insonnia, difficoltà di concentrazione, senso di colpa, alienazione. Il tempo libero scompare, le relazioni personali si diradano, la vita si riduce a una sequenza di task da chiudere senza soluzione di continuità.

Il burnout – che un tempo colpiva chi lavorava troppo per un solo datore – oggi si affaccia con maggiore intensità tra chi ha scelto (o si è trovato costretto) a moltiplicare le fonti di reddito. E se la stanchezza era una sensazione sopportabile, oggi diventa una condizione esistenziale.

Libertà o trappola?

Il polygamous working nasce da un bisogno e cresce in un vuoto: quello normativo, ma soprattutto quello psicologico. È il riflesso di un’epoca in cui la sicurezza lavorativa è diventata un miraggio e in cui la flessibilità ha superato il punto di rottura.

Certo, per alcuni è una scelta temporanea, un investimento sul proprio futuro. Ma per molti è un compromesso costoso, in cui il benessere mentale è la prima moneta di scambio. E in un mondo che predica l’autoimprenditorialità e l’ottimizzazione delle risorse personali, forse è il momento di chiederci: quante vite lavorative possiamo davvero sostenere, prima di perdere la nostra?

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