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L'anniversario
23 Maggio 2025 - 10:50
Il 23 maggio 1980, esattamente 45 anni fa, The Shining faceva il suo debutto nelle sale statunitensi. Diretto da Stanley Kubrick e tratto liberamente dal romanzo omonimo di Stephen King, il film non fu accolto con entusiasmo unanime all’epoca, ma col tempo è diventato uno dei capisaldi del cinema horror e psicologico, un oggetto di culto che continua ad affascinare, spaventare e ispirare.
La storia nasce dalla penna di King nel 1977, che racconta l’incubo di Jack Torrance, uno scrittore in crisi che accetta di fare da guardiano invernale dell'Overlook Hotel, un luogo isolato tra le montagne del Colorado, insieme alla moglie Wendy e al figlio Danny. Ben presto l’hotel si rivela vivo e ostile, alimentando la follia di Jack.
Kubrick, già noto per la sua meticolosità, prese la struttura narrativa del romanzo ma ne riscrisse lo spirito: più ambiguo, più freddo, più mentale. King detestò la trasposizione, accusandola di essere troppo cerebrale e di svuotare i personaggi della loro umanità. Ma Kubrick non voleva un horror convenzionale: voleva un’esperienza cinematografica disturbante e misteriosa, aperta a infinite letture.
Le riprese furono un incubo tanto quanto la storia raccontata.
Shelley Duvall (Wendy) fu sottoposta a stress estremo: Kubrick la isolò, la spinse al limite fisico e psicologico, al punto da causarle crisi di nervi sul set. La scena della mazza da baseball richiese 127 ciak, un record.
Jack Nicholson, scelto dopo che Kubrick scartò attori come De Niro e Harrison Ford, riscrisse molte delle sue battute. Il celebre “Heeere’s Johnny!” fu improvvisato, ispirato dal Tonight Show di Johnny Carson.
L’hotel Overlook fu in gran parte ricostruito in studio. Tuttavia, l'esterno si basa sul Timberline Lodge in Oregon, mentre le interni derivano da vari hotel americani, contribuendo a quella sensazione di spazio dissonante e labirintico.
Il film è stato interpretato in centinaia di modi: critica del genocidio dei nativi americani, metafora dell’Olocausto, ritratto dell’abuso domestico o persino prova che Kubrick avrebbe girato il finto sbarco sulla Luna (come sostenuto nel folle documentario Room 237). Nessuna spiegazione definitiva viene mai data, e Kubrick lo ha voluto così: The Shining è un puzzle aperto, un incubo che vive proprio nell’assenza di certezze.
Il film ha lasciato un’impronta indelebile:
La steadicam che segue Danny in triciclo tra i corridoi è diventata una lezione di tensione visiva.
Il tappeto esagonale dell'hotel è diventato icona pop che ha ispirato scenografi delle nuove generazioni, una per esempio, Cécilia Blom per il recente The Substance
L'immagine delle gemelle, il fiume di sangue dall'ascensore, lo sguardo di Nicholson: tutto è stato citato, parodiato, ripreso da registi come Jordan Peele, Ari Aster, Mike Flanagan e Steven Spielberg.
Lo stesso King ha poi “corretto” il film con la miniserie del 1997, più fedele al libro ma dimenticata dal grande pubblico. Kubrick, nel frattempo, aveva già scolpito la sua versione nell’immaginario collettivo.
Nel 2019, Mike Flanagan ha voluto riportare sul grande schermo la storia dell'Overlook hotel attraverso il film sequel Doctor Sleep, il cui protagonista era Danny Torrance, ormai adulto, ancora traumatizzato dagli eventi di The Shining. Danny, interpretato da Ewan McGregor, cerca di sopravvivere combattendo i suoi demoni interiori — alcolismo, rabbia, sensi di colpa — fino a quando non incontra una ragazza con poteri simili ai suoi, Abra, che lo coinvolge nella lotta contro un culto chiamato Il Nodo, che si nutre dell’“luccicanza” (lo shining) dei bambini.
Il compito di Mike Flanagan era delicatissimo: conciliare la visione di King con quella di Kubrick, due universi molto diversi.
Il risultato è stato ben accolto, soprattutto dai fan di entrambi gli autori. Stephen King, notoriamente critico verso il The Shining di Kubrick, ha espresso apprezzamento per Doctor Sleep, definendolo una “redenzione”.
Nonostante le sue differenze dal romanzo, The Shining è forse uno dei rari esempi di film che migliorano con il tempo. Non ha bisogno di jumpscare per inquietare. Il suo horror è sottile, insinuante, disturbante. Non mostra tutto, ma lascia tutto sotto pelle.
Oggi, a 45 anni di distanza, The Shining continua a parlare di isolamento, follia, traumi e fantasmi interiori — temi più attuali che mai in un’epoca post-pandemica. È un film che ancora non ha finito di rivelarsi, e forse è questo il suo più grande potere: non smettere mai di inquietarci. Anche quando crediamo di aver capito tutto.
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