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Il dato
26 Maggio 2025 - 22:15
Sui social sembrano tutti felici, sempre in movimento, circondati da amici e sorrisi. Ma dietro quella patina di perfezione digitale si cela una realtà ben diversa: oggi siamo più soli che mai. E la solitudine, oltre a colpire nella vita privata, si insinua anche nei luoghi di lavoro. Un fenomeno crescente, pericoloso, ancora troppo sottovalutato, ma con conseguenze pesanti sul benessere mentale e sulla produttività.
L’isolamento lavorativo è un’emergenza nascosta. Solo nel Regno Unito il costo annuo è stimato in 2,5 miliardi di sterline; negli Stati Uniti la cifra è spaventosa: 154 miliardi di dollari. Secondo una ricerca pubblicata su Nature, oltre l’80% dei lavoratori in paesi come Brasile, Cina, Germania, Regno Unito e USA afferma di sentirsi solo sul posto di lavoro. In Italia, secondo il report State of the Global Workplace di Gallup, un lavoratore su quattro sperimenta quotidianamente tristezza e isolamento. E nel mondo uno su cinque.
Il disagio colpisce in particolare la Gen Z: il 30% dichiara di sentirsi escluso, contro il 22% delle generazioni precedenti. In Giappone, uno studio dell’Università di Tokyo conferma che una persona su dieci si sente sempre sola al lavoro. E il sondaggio di BetterUp aggiunge un altro dato inquietante: il 69% dei dipendenti è insoddisfatto delle proprie relazioni sociali, il 43% non avverte alcuna connessione con i colleghi.
L’impatto dell’isolamento non si limita alla sfera emotiva. Una meta-analisi della Columbia University, condotta su oltre 226.000 persone, rivela un legame diretto tra solitudine e depressione, ansia, malessere generale. Il senso di vuoto mina la motivazione, spegne l’entusiasmo, rompe il legame tra individuo e azienda. Il risultato? Calo della produttività, aumento dell’assenteismo e del turnover, ambienti di lavoro sempre più spenti.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato un monito chiaro: la solitudine sul lavoro è una vera e propria epidemia. Per contrastarla, in Italia è nato un progetto concreto: il Manifesto per il Relazionésimo. Sociologi, economisti e psicologi si sono uniti con l’obiettivo di trasformare la cultura aziendale, restituendo centralità al rapporto umano.
La Fondazione, guidata dalle imprenditrici Ketty Panni e Ombretta Zulian, propone una rivoluzione silenziosa ma potente: rimettere le relazioni al centro. “Sono un bene primario ed essenziale”, si legge nel manifesto. Non un accessorio, ma una necessità biologica e sociale. Una risposta al paradosso moderno: connessi a tutto, ma disconnessi tra noi. Sempre più like, sempre meno legami veri.
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